il Giornale, 31 ottobre 2024
La morte (non) improvvisa
N el mondo del giornalismo ha suscitato grande emozione, la scorsa settimana, la morte del vicedirettore de La Stampa Paolo Griseri, di 67 anni, stroncato da un infarto «fulminante».
Un decesso descritto dai media come «inaspettato e arrivato senza segni premonitori», identico a quello che ha colpito in passato personaggi famosi del calibro di Lucio Dalla, Pino Daniele, Walter Chiari, Claudio Villa, Gigi Sabani, Domenico Modugno, Luca Giurato e molti altri, tutti morti apparentemente all’improvviso, tutte tragedie di vite spezzate che potevano essere salvate su cui riflettere, perché un cuore che batte dalla vita fetale a quella adulta per decenni, non si ferma mai di colpo se è sano, ma soprattutto, se ammalato, non smette mai di pulsare senza dare, da 3 mesi a 3 settimane prima, i suoi importanti ed evidenti segnali di allarme.
I sintomi premonitori di un attacco cardiaco in arrivo infatti, sono sempre presenti in anticipo. Sono una decina, sono identitari, e riflettono i gemiti di sofferenza del muscolo motore primario, squilli di allerta che avvertono il paziente, ma che troppo spesso vengono sottovalutati, minimizzati, non riconosciuti o peggio ignorati, soprattutto dagli uomini, i quali li attribuiscono generalmente alla fatica fisica o allo stress.
La grave crisi cardiaca che porta alla cosiddetta morte improvvisa in genere è dovuta alla ostruzione iniziata mesi prima, per un trombo, un embolo o una placca aterosclerotica, di una delle due arterie coronariche principali, con la conseguente ischemia di un’area estesa del tessuto muscolare dalla quale deriva, senza un intervento terapeutico d’urgenza, l’alta probabilità di arresto cardiaco.
Ed i sintomi insorgono in maniera repentina e drammatica quando ormai l’occlusione della coronaria è totale, mentre già settimane prima che il vaso arterioso sia bloccato del tutto, il cuore in sofferenza ha sviluppato e comunicato i molti disturbi legati alla sua carente attività, e promosso diverse evidenze di una ridotta ossigenazione locale e soprattutto generale.
Quando la richiesta di sangue infatti, e quindi di ossigeno, è superiore al flusso effettivo che raggiunge il cuore, nel paziente si sviluppa immediatamente debolezza fisica, senso di stanchezza, di insolita fatica o mancanza di fiato, anche solo per salire tre gradini, e sotto sforzo, come ad esempio una camminata veloce, compare il peso al petto o alla bocca dello stomaco, cosa che promuove un senso di nausea più o meno lieve, in genere scambiato per una cattiva digestione.
Il dolore al petto può essere percepito come un semplice fastidio’ che appare e scompare, di tipo oppressivo come un peso, o costrittivo come una stretta al cuore, ma anche come un bruciore a livello dello stomaco, e lo stesso dolore può comparire isolato o irradiarsi alla mandibola, al collo, alla schiena o al braccio sinistro, e se tale angina non è intensa e non supera i 10 minuti, il paziente si tranquillizza senza intuirne la causa scatenante.
Se invece la dolenzia alla mascella, alla cervicale e alla spalla persistono, il soggetto in dubbio prende appuntamento con il dentista, l’ortopedico o il fisoterapista, non sospettando che per quei sintomi ricorre l’obbligo di una visita cardiologica urgente.
I segnali premonitori dell’infarto infatti spesso confondono il paziente, in quanto sono differenti e possono avere una evoluzione più lenta o più veloce, a secondo della arteria coronarica interessata e del grado di ostruzione, per cui possono insorgere sintomi come una tosse secca con lieve difficoltà respiratoria, una sudorazione fredda che inizia dalla fronte e scende al torace, con un senso di ansia di battiti accelerati, di vertigine o malessere generalizzato spesso attribuito ad un ipotetico attacco di panico.
Se poi il paziente è un diabetico di vecchia data con complicanze neuropatiche, egli può anche non avvertire nessun dolore e scoprire ad un elettrocardiogramma di routine di essere già stato vittima, in passato, di un infarto. Quando infatti le fibre muscolari cardiache in carenza di ossigeno sono poche e l’area funzionale non determinante, l’infarto arriva piano, lentamente, ed il soggetto, ignaro della sua condizione di salute, in genere continua la sua vita attiva senza controlli medici, andando incontro, prima o poi, all’attacco di cuore fatale, quello improvviso e inaspettato che lascia sconcertati e senza fiato anche i familiari del defunto.
L’insonnia è un altro sintomo premonitore legato al cattivo funzionamento del cuore che può presentarsi un mese prima dell’infarto, con non solo la difficoltà ad addormentarsi ma anche a quella di alzarsi al mattino stanchi e deboli, per l’astenia e la sensazione di non aver riposato abbastanza. Un altro segnale curioso segnalato come tipico di un deficit di ossigenazione generalizzata è la improvvisa e graduale perdita di capelli nella zona posteriore della testa, una caduta uniforme ed inusuale che inizia un mese prima della crisi cardiaca, non facilmente visibile se non quando si trovano i capelli sul retro delle giacche o la mattina sulla federa del cuscino.
Il cuore non è un organo subdolo, non mente, non tradisce, non nasconde le sue patologie nemmeno per un giorno, non accoltella alle spalle, poiché essendo il motore vitale, e soprattutto fonte inesauribile di ossigeno per l’intero organismo, ogni suo deficit, anche lieve, viene tradotto in sintomo, che non andrebbe mai ignorato o minimizzato, poiché il muscolo cardiaco che non riceve più sangue inizia pian piano a morire, e le sue fibre necrotiche, allo stato delle nostre conoscenze scientifiche, non si rigenerano e non possono essere riparate.
È quindi fondamentale raggiungere un ospedale attrezzato per le emergenze cardiologiche entro la prima ora dall’insorgenza dei sintomi, ovvero nella famosa golden hour, poiché il beneficio terapeutico e strumentale che può essere applicato a salvare la vita al paziente decresce man mano che tale tempo di intervento si prolunga. Il rischio di infarto cresce con l’avanzare dell’età, nelle donne aumenta dopo la menopausa, e l’argomento di prevenzione è antico e noto a tutti, perché i fattori incriminati certificati restano sempre la pressione arteriosa alta e non controllata, il diabete, i livelli elevati di colesterolo, il sovrappeso, l’obesità, il fumo di tabacco, la sedentarietà e la familiarità, oltre all’uso di droghe stupefacenti o abuso di farmaci cardiotossici, ma l’importante è imparare a riconoscere i sintomi per tempo, perché oggi se si arriva in ospedale con un infarto acuto in atto entro un’ora dalla comparsa della sintomatologia è possibile curarlo e guarirlo, con altissime probabilità di sopravvivenza.
Cosa che non è purtroppo accaduta al giornalista Paolo Griseri, e come a lui alle 230mila persone che, avendo ancora una percezione bassa dei pericoli di questa grave patologia, e non riconoscendone i sintomi, ogni anno muoiono nel nostro Paese per accidenti cardiovascolari e arresto cardiaco, decessi registrati ancora e purtroppo come la prima causa di morte in Italia.
L’età media è di 65 anni per gli uomini e 72 anni per le donne. Negli ultimi dieci anni, l’incidenza dell’infarto miocardico nelle donne è aumentata, probabilmente per una più frequente abitudine al fumo di sigaretta, legata ai cambiamenti sociali, e per una longevità. La «morte improvvisa» si manifesta in prevalenza nel sesso maschile (circa 60%) e può colpire anche i bambini, in particolare entro i primi 6-12 mesi di età