La Stampa, 31 ottobre 2024
Sono passati trent’anni da Trainspotting di Irvine Welsh e da Jack Frusciante è uscito dal gruppo di Enrico Brizzi
Sono passati trent’anni da Trainspotting di Irvine Welsh e da Jack Frusciante è uscito dal gruppo di Enrico Brizzi, due libri che hanno lanciato i loro autori e che sono diventati film, ma anche lo specchio e le opere di culto di una generazione.La Stampa incontra i due autori a Bologna, città del primo (che regalerà al secondo una sciarpa del Bologna calcio) in occasione del tour italiano di Welsh, che ha appena pubblicato con Guanda Resolution, terzo capitolo della saga del detective Ray Lennox. Da poche settimane per HarperCollins Italia è uscito anche Due, che dell’esordio di Brizzi è il seguito: qui ritroviamo Alex e Aidi, i protagonisti, a un anno dai fatti del primo romanzo.In mezzo, sia per Welsh sia per Brizzi, ci sono state diverse vite, cambi di prospettiva e di città, e alcune costanti: la scrittura, la musica, il calcio e l’amore.Brizzi, il tempo cambia tante cose. Che cosa fa sì che due possano fare i loro giri e poi ritrovarsi e riconoscersi, com’è successo, ma poteva anche non succedere, ad Aidi e Alex?B: Quando Aidi e Alex si lasciano nel finale di Jack Frusciante si augurano quello che si dicono tutti gli innamorati quando si devono separare per un periodo: speriamo che la vita ci tenga vicini e che tutto resti uguale. Sono giovani e non sanno ciò che noi più grandi già sappiamo: non sarà affatto uguale, perché la vita non si può mettere in pausa e a diciassette anni un anno è mezza vita; solo che quell’anno Alex non può passarlo ad ascoltare i Cure nella penombra del suo sarcofago, deve in qualche modo vivere, e lo stesso deve fare Aidi in America. Imparano soffrendo e sentendosi in colpa. La sorpresa per loro è proprio la scoperta che è possibile fare dei giri diversi e poi sbucare dal bosco in una radura da due punti distinti, rivedersi e riconoscersi. È un evento che ha a che fare con il miracolo dei sentimenti e dell’amore. Che cosa fa sì che nel momento in cui ti vedi capisci in un istante che quella persona ti sta ancora emozionando enormemente? È uno dei misteri massimi della vita. E nel loro caso è ancora più dirompente perché è la prima volta».Welsh, nel suo racconto “La causa del Granton Star”, del 1994, Dio trasforma un uomo in una mosca per aver sprecato la sua esistenza. In che modo, secondo lei, si spreca una vita?W: «Evitando l’amore e l’arte. E per arte intendo anche lo sport, il calcio, tutto ciò che non devi per forza fare per vivere ma che fai per la gioia. L’amore e l’arte, ovvero l’istinto creativo di qualunque tipo, sono le uniche due cose che rendono l’esistenza degna di essere vissuta. Nient’altro lo è: il resto è solo roba senza senso, compresi il denaro e il potere».Brizzi, lei dice spesso che quando arriva il successo capita di incontrare il diavolo a un incrocio. Un esempio?B: «Mi proposero di prendere la tessera del PDS, e dissi di no. Ma in generale, col successo si prova la vertigine di vivere una vita artificiale. Io ho iniziato a scrivere convinto che servisse raccontare storie straordinarie. Tutto il mio apprendistato invece è stato calibrato sulla visione di Tondelli: «Racconta quello che vivi». Il problema è quando ti stacchi dalle tue radici e cominci a fluttuare: se vivi tra Bologna e lo studio di Marzullo non solo ti perdi il concerto che c’era quella sera nella tua città, ma stai vivendo come l’ospite, come l’apparizione, e non fai mai nulla di quello che nella vita ti nutre».Welsh, il suo Ray Lennox è un angelo vendicatore nelle spoglie mortali di un poliziotto, che cerca di farsi giustizia per i traumi vissuti da bambino. Da dove viene il desiderio di scrivere di un tema così doloroso?W: «Da certe conversazioni che ho avuto negli anni con persone che hanno subito traumi di ogni tipo, le cui conseguenze si sono poi manifestate nella loro vita in modi molto differenti. A Miami, dove ho abitato a lungo, ho un amico che lavora nei servizi sociali, con le vittime di abuso, e tutti mettono in atto una miriade di strategie per sopravvivere. Ho pensato: interessante. Mi sono anche detto che per alcuni il bisogno di vendetta dev’essere molto forte, mentre il bisogno di andare avanti è una considerazione più intellettuale».E per lei, Welsh, la scrittura nutre la vita o è la vita che nutre la scrittura?W: «Sono vere entrambe le cose. Tutto ciò che si fa artisticamente viene da ciò che si sperimenta nel quotidiano, ma l’arte influenza l’esistenza perché diventa il modo in cui pensi».Brizzi?B: «La vita reale è indispensabile per avere qualcosa da raccontare. Allo stesso tempo, con vertigine, a volte ti accorgi che è vero anche il contrario, che scrivere è qualcosa che ti manda avanti. Come diceva Irvine prima: se rinunci all’arte, all’amore, alla bellezza, di che cosa puoi vivere? Poi c’è un altro aspetto: la scrittura è un’attività solitaria, ma lo scrittore è uno che cerca di uscire dal suo io e raccontare qualcosa che ha a che fare con il noi».Welsh, uno dei suoi temi centrali è la Scozia, naturalmente, e nello specifico la working class, i drogati, il paesaggio emotivo post-industriale. Serve un talento speciale per essere felici nei posti più tristi del Regno Unito?W: «Penso che a determinare la felicità non siano tanto le condizioni quanto lo spirito dell’individuo all’interno di una comunità. Se una comunità è accogliente e, anche con pochissime risorse, offre occasioni di scambio che rendono la vita più interessante e divertente, fa già qualcosa di importante. C’è gente ricca che non ha un rapporto umano e sta peggio di un gruppo di operai scozzesi in pensione che giocano a biliardo insieme tutte le sere».È più facile per lei scrivere d’amore o di rabbia?W: «Il succo non cambia, ed è che quando siamo in preda alle emozioni più pure diventiamo tutti un po’ ridicoli, in senso buono».Brizzi, rispetto a quando scrisse di Aidi trent’anni fa, adesso c’è una cosa in più, anzi quattro: ha quattro figlie femmine. Questo come ha influenzato la sua scrittura e la sua visione di lei?B: «Molto prima di influenzare il mio modo di scrivere di lei ha influenzato il mio modo di concepire le ragazze. Sono cresciuto in una società maschile, con amici maschi, e alle ragazze non mi sono mai interessato fino all’età dei sentimenti. Quando ho scoperto che aspettavamo la prima figlia sono rimasto sconcertato, mi sono detto: cosa le dico? Poi invece è stata la cosa più naturale del mondo. E ti rendi conto che le figlie a un certo punto iniziano a restituirti cose di conoscenza e di sensibilità che tu non avevi. Crescere quattro ragazze è stato decisivo. Anche chiedere consigli, in particolare a Cloe, la più grande, che è quella più flippata per la scrittura. Sentirmi dire da lei: babbo, ma una ragazza non penserebbe questo. In Jack Frusciante Aidi era l’oggetto dell’amor cortese di Alex. Ora parla, scrive, agisce, è diventata protagonista tanto quanto lui».Welsh, qual è stato il momento in cui si è reso conto che “Trainspotting” aveva cambiato la sua vita per sempre?W: «Sono due. Il primo all’uscita del libro, che venne lanciato al festival di Edimburgo. Mi chiedevo: ma perché c’è tutta questa gente per me? Per sentirmi leggere? Non capivo. Il secondo grande momento fu a Cannes per il film: vedevo i paparazzi e mi sembravano fuori di testa. Pensavo di non avere gli strumenti emotivi adatti per gestire una cosa del genere. Io volevo fare il musicista. Ho sempre creduto che la mia scrittura fosse pubblicabile, ma non mi aspettavo certo di essere ancora qui dopo trent’anni. Ho dovuto riconsiderare tutto, a livello emotivo, e ho anche dovuto darmi una disciplina per non soccombere alle tentazioni».Brizzi, si sarebbe accontentato di fare lo scrittore in maniera più modesta, ovvero senza raggiungere questo successo?B: «Il mio sogno era un altro: girare il mondo con una rock band. O come giornalista inviato. La mia famiglia ha una storia molto radicata di uomini che lavoravano lontano da casa: due zii e un prozio ufficiali di marina, un paio che hanno lavorato sui transatlantici, un medico in Africa, uno che costruiva ponti nell’ex Africa francese. Davo per scontato che da grande sarei andato in giro per il mondo. Qualunque cosa poteva quadrare con l’essere nomade, e per me quella era la dimensione del diventare adulto. La base era viaggiare e raccogliere storie, due cose che in effetti continuo a fare in altro modo».Welsh, lei almeno è diventato deejay. Come?W: «Nell’epoca da cui vengo, tutto avveniva perché si aveva una grande collezione di dischi e la gente ti chiedeva di fare il deejay alle feste. Poi ho smesso per un po’, perché la scrittura ha preso il sopravvento. Quando mi sono trasferito a Miami, però, mi sono ritrovato a fare il deejay ai party in piscina, ed era splendido: potevo scrivere la mattina, pranzare con calma, mettere musica nel pomeriggio e la sera essere a casa in pantofole. Molto meglio che lavorare di notte».Brizzi, è stato difficile ritrovare la voce molto specifica del narratore di questa storia?B: «No, è stata la cosa più facile. Ho riletto Jack Frusciante da cima a fondo per la prima volta dopo tre decenni e mi sono detto: loro sono ragazzi, esistono in quanto giovani e la giovinezza è la loro essenza. Ho cominciato a scrivere e la prima pagina, mi cadessero le orecchie, aveva quella voce narrante: è stato naturale come rimettersi a suonare uno strumento dopo tanti anni che non lo si suonava più. Solo gli indovini o gli psicologi del profondo possono spiegare perché senti il bisogno di tirarlo fuori, ma certamente ha quel suono lì».Welsh, lei crede nel destino?W: «La vita è troppo complessa per essere sicuri che esista una cosa del genere».Brizzi, come si supera un amore finito male?B: «Frequentando molto gli amici e confidando che ne arriverà un altro».