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 2024  ottobre 31 Giovedì calendario

Dario Argento festeggia Halloween?

Dario Argento riemerge da una mattinata spesa nell’orrore della burocrazia digitale, «non riesco a fare lo spid, il mio passaporto non ha chip, per fare la carta d’identità elettronica ci vogliono mesi. Stiamo cercando di venirne a capo con la mia segretaria». Intervistare l’84enne maestro mondiale del cinema da paura alla vigilia di Halloween è un piacere e un dovere, visto che a diffondere la festa in Italia è stato lui.
Tutto è cominciato quando stava lavorando negli Stati Uniti.
«Vivevo a Los Angeles, lavoravo alla postproduzione di un film, forse. Trauma. Ero in un bell’albergo a Santa Monica. Erano i giorni di Halloween ma non sapevo cosa fosse. Vedo in strada ragazzi mascherati, gruppi che vanno nelle case a rompere Ie scatole, mi incuriosisco, chiedo al montatore, mi spiega della festa, le zucche, dolcetto o scherzetto, i demoni, i mostri, le streghe. E così, tornato in Italia, ho pensato che fosse una cosa perfetta per il mio negozio, Profondo rosso. Ho scritto un paio di articoli su qualche giornale spiegando di Halloween, ho riempito il negozio di zucche e tutto l’armamentario. Nessuno lo faceva, prima, in Italia».
Il negozio si è affollato presto.
«Sì, arrivavano famiglie, ragazzi. I giornali ne hanno parlato. La voce è passata e l’Halloween successivo il numero era triplicato, la fila bloccava la strada. Era diventato un rito, passare al negozio mascherati prima di andare alle feste. Io purtroppo dallo scorso anno non partecipo, perché mi sono preso la polmonite. Sono guarito, ma non posso rischiare quella montagna contagiosa di baci, abbracci, mani strette. Anche se mi mancano».
Dolcetto o scherzetto?
«Sul set non ho mai amato scherzare, per girare un film serve rigore. Quanto ai dolci, non sono un mangione, mi piace la crema pasticcera».
Che film consiglia di vedere nella notte di Halloween?
«In cima alla lista c’èHalloween del mio amico John Carpenter, poi tanti altri. Ogni anno ci raduniamo con i “maestri” della serie tvMaster of Horror,da Joe Dante a John Landis, ceniamo in un ristorante italiano, hamburger e panini, io non amo gli hamburger e sono celiaco. Però ci divertiamo. Discutiamo di cinema horror».
Tra i suoi film in particolare?
«Suspiria,senza dubbio».
Una trilogia che ha fatto la storia del cinema horror, quella delle “tre madri”.
«All’inizio pensavo di fare solo un film, poi ho continuato, ispirandomi allo scrittore inglese Thomas de Quincey e alle tre mater. Ho approfondito e fatto ricerche, girato Paesi per capire come le streghe vengono raccontate. In Belgio, in Francia, molto in Svizzera, in Grecia. In Belgio c’è un grande culto della stregoneria. E ho cercato di incontrarne».
C’è riuscito?
«Sì, ne ho incontrate tante, che si dicevano streghe. A Monaco una sera andammo a casa di una di loro, una bellissima donna, e del marito. Bicchiere dopo bicchiere iniziò a raccontare storie, incontri, esperienze sovrannaturali. Il marito s’era addormentato di sasso. Le chiesi “ma lui cosa dice nel sentirle fare questi racconti?”, lei sogghignò facendomi capire che era opera sua. Ricordo due streghe in Grecia, anziane, le voci stridule, le facce maligne. E tante altre, le loro case sepolte di libri sull’occultismo».
Lei ci crede alle streghe?
«No. Mi incuriosivano alcune di loro, orgogliose di essere streghe, a volte mi inquietavano. Ma ho sempre percepito qualcosa di falso, anche se molte erano convinte sinceramente di esserlo».
Dopo i suoi film l’hanno contattata?
«Qualche strega italiana sì, mi hanno scritto per spiegarmi quelloche secondo loro era giusto o sbagliato nel film. La stregoneria è un fenomeno culturale, riempie pagine di letteratura, opere d’arte. In pittura le streghe sono presenti in modo massiccio, i più grandi pittori se ne sono occupati».
L’altro filone classico è quello dei vampiri. Anche lei ha fatto un Dracula.
«I vampiri sono spettacolari, glamour: castelli, maggiordomi, saloni... Il vampiro è più elegante e caciarone, le streghe sono silenziose, agiscono in modo sotterraneo, maligne… fanno più paura».
Che registi horror le piacciono delle nuove generazioni?
«Di italiani ne vedo pochi, più i francesi, tra l’altro in Francia sono ancora diffuse le fanzine, molti mi vengono a trovare, penso a Pascal Laugier, il regista di Martyrs che era un buon film. Se devo dire la verità, mi piacciono gli horror coreani e giapponesi, e su tutti i messicani, sono fortissimi, hanno una tradizione antica di horror stregonesco. L’esponente di punta è Guillermo Del Toro».
Che si definisce un suo allievo e ammiratore.
«Sì. E poi gli spagnoli, che però sono un po’ pasticcioni, fin troppo solari, ci mettono sempre dentro qualcosa che fa ridere».
E lei cosa prepara?
«Mi ha contattato una produttrice americana. Ma io ho un progetto francese che ho dovuto rimandare quando sono caduto in casa, rompendomi il femore. Dopo una pausa lunga ci devi rimettere le mani parecchio, entrare nello spirito. Ma sono quasi pronto a girare».
Non ci può dire nulla?
«Solo che è un ritorno all’horror, terribilmente angoscioso. Magari l’anno prossimo ad Halloween ci diamo appuntamento. Mica penserete che abbia smesso di farvi paura?».