Corriere della Sera, 31 ottobre 2024
Contro la beatificazione di Berlinguer
«Temi da trattare al congresso: questione della bomba atomica: e necessità dell’abbandono della politica atlantica. Questione dell’infanzia: sottrarre l’infanzia all’educazione corruttrice dei preti». Battute a macchina con due punti in più e una «e» di troppo, queste parole non sono state pronunciate da un bolscevico fuori tempo in un centro sociale di oggi. A dirle fu Enrico Berlinguer. Risalgono all’11 ottobre 1949, un’altra era e un altro mondo. Rientrano in una sintesi di quanto il ventisettenne di Sassari che poi sarebbe diventato segretario del Partito comunista italiano affermò in una riunione della direzione del Pci. Berlinguer interveniva sui compiti della Federazione giovanile comunista.
Il resoconto della seduta è stato trovato nell’archivio della Fondazione Gramsci da chi scrive. È catalogato Mf 200, n. 15. Restrittivo e fuorviante sarebbe fermare a quel giorno l’analisi su chi è stato Berlinguer nel corso dell’intera sua vita. Verso i cattolici, e dunque anche i vituperati «preti» dai quali nel 1949 voleva mettere al riparo i bambini, il leader di Botteghe Oscure coltivò dal 1973 al 1979 l’ambizione strategica del «compromesso storico», una convergenza finalizzata a un governo comune con i comunisti. Sulla Nato, nel 1976, lo stesso dirigente dichiarò al Corriere: «Io voglio che l’Italia non esca dal Patto Atlantico».
Di individuale rigore Enrico Berlinguer è stato di sicuro un esempio ammirevole. Fu personaggio di spessore politico notevolmente superiore a confronto con leader attuali. Ma beatificarlo, come talvolta avviene a 40 anni dal malore che lo colpì durante un comizio e risultò poi mortale, significa non capire — o non voler vedere — che con la linea seguita negli ultimi anni di vita il segretario del Pci infilò il più grande partito della sinistra italiana in un vicolo cieco. In un percorso di estraneità a cambiamenti di rilievo in corso nella società.
Ispirata da Mosca fu la battaglia di Berlinguer contro gli euromissili americani a Comiso, contraddittoria rispetto alla dichiarata volontà di rendere il Pci autonomo dal Cremlino. A permettere di installare i Pershing in Sicilia era stata la maggioranza imperniata su Democrazia cristiana e Partito socialista. Fu una risposta agli Ss-20 puntati dai sovietici contro l’Europa occidentale. A quei missili statunitensi mai lanciati si deve molto il crollo del blocco sovietico, sollecitato a uno sforzo economico tale da determinarne il collasso. Il Berlinguer che ebbe il merito dello «strappo» con l’Urss, la presa di distanza da Mosca sul valore della democrazia, fu lo stesso che non portò mai quella posizione alle estreme conseguenze, tant’è che i finanziamenti sovietici a Botteghe Oscure continuarono.
Nella vertenza con la Fiat nei primi anni Ottanta e nella politica economica e sociale del Pci, Berlinguer si dimostrò inconsapevole della portata epocale della ristrutturazione produttiva dettata allora da nuovi sistemi organizzativi e nuove tecnologie. Per il capo di un partito di massa, in ampia parte di operai, mica una svista minore. Il proletariato andava sfaldandosi tra componenti salite nel ceto medio e inedite figure sociali povere come i «pony express», fattorini in moto, predecessori dei «rider», sottopagati da ditte private beneficiate dalla lentezza dei servizi postali pubblici. Berlinguer non intuì neppure in minima parte queste novità destinate a influire sulla società italiana.
«Ma questo qui è mai stato a Milano?», sarebbe arrivato a domandare a un suo amico Bettino Craxi, nei primi anni Ottanta, ai margini di una cena insieme. L’aneddoto è riferito nel libro «Mitologie italiane», Luiss edizioni, da Antonio Pilati e Riccardo Pugnalin. Sbagliata fu l’analisi sociale del nostro Paese compiuta dal Berlinguer maturo.
Dal 2023 nella sinistra italiana la riflessione sul teorico del compromesso storico ha compiuto passi indietro rispetto a quando Miriam Mafai pubblicò per Donzelli «Dimenticare Berlinguer». Sebbene ogni dirigente politico vada giudicato nel suo tempo, osservava questa giornalista di qualità che era di formazione comunista, «anche nelle condizioni date non poche delle scelte di Berlinguer dal 1976 al 1980 appaiono oggi discutibili». Mafai lo sosteneva nel 1996.
Lungi da questo articolo contribuire allo sterile battibecco o al conformista encomio che dominano spesso il dibattito politico corrente. All’intero Paese, non alla sola sinistra, conviene ragionare sul passato senza che amnesie e nostalgie sommarie intasino le vie per migliorare il presente. Di Enrico Berlinguer resta intatta la dignità. Molti suoi insegnamenti non porteranno la sinistra fuori da sacche alle quali si consegna.