la Repubblica, 31 ottobre 2024
Sos calligrafia: la crociata per salvare la scrittura manuale
«Cara nonna, mi spiace che tu non stia bene. Ti auguro di riprenderti presto», firmato Carlo. Ossia re Carlo III, a sette anni, nel 1955. La lettera di pronta guarigione del sovrano britannico alla Regina Madre malata è stata riesumata in questi giorni, per la sua calligrafia scolastica, tonda e spaziosa. «Come dovrebbero fare i bambini di oggi. Invece – lamenta ilTelegraph – non sanno più scrivere a mano. E se lo fanno, le parole sono incomprensibili. Non si capisce nulla».Provate a prendere un diario delle elementari reintrodotto su mandato ministeriale di Giuseppe Valditara: a furia di battere sui tasti e digitare sullo schermo si è perso il fiocco della “f”, il nodo della “g”, le gobbe della “m”. Il corsivo è un panda, in via d’estinzione. Lo si impara e lo si abbandona, nel grande salto verso la scrittura digitale. «Un grave errore», sostiene Paolo D’Achille, presidente della Crusca, «perché la scrittura a mano coinvolge tutto il corpo e consente un’interiorizzazione del segno linguistico non raggiungibile con una tastiera». E invece, nel declino della calligrafia, uno studente su cinque della primaria fa fatica a uscire dallo stampatello allenato da smartphone e pc. I casi di disgrafia, sostiene l’Osservatorio carta, penna e digitale della Fondazione Einaudi, sono aumentati del 163% in dieci anni.L’istruzione manuale si è persa un po’ ovunque se anche i risultati degli studenti britannici sono desolanti e nessuno scrive più come Carlo III. Da curriculum scolastico nazionale del Regno, anche nell’era del tablet, i bambini «devono imparare a scrivere a mano in modo chiaro, fluente e sempre più veloce entro l’età di 11 anni”. Ma secondo il National Literacy Trust, in Inghilterra i più piccoli scrivono sempre meno. Uno studio su 76 mila bambini dello scorso giugno ha mostrato come solo uno su dieci lo faccia a mano da solo ogni giorno, contro il 50% del 2009. Ovvero due anni dopo la messa sul mercato del primo iPhone. Se si scrive peggio, si legge peggio, i testi si capiscono meno e la lingua s’impoverisce, la colpa «potrebbe essere proprio del precoce abbandono della scrittura a mano», dice la Crusca. Perché, sì, la digitazione su tastiera è più rapida, ma «la scrittura a mano promuove lo sviluppo cerebrale, l’apprendimento e la creatività», spiega il neurologo Antonio Suppa. Ha a che fare anche con la memoria. In Norvegia, Usa e Giappone, studi scientifici hanno dimostrato che impugnare una penna, fare pressione su un foglio e creare lettere sia «un’azione cognitivo-motoria che richiede molta più attenzione di computare, quindi le nozioni si memorizzano più facilmente».Ora c’è chi vuole rilanciarne per legge le virtù. Nel Regno Unito Mellissa Prunty, presidente della National Handwriting Association, ha chiesto «che la scrittura a mano venga insegnata anche nella scuola secondaria». In Italia è nato un intergruppo parlamentare a difesa della penna e una proposta di Fratelli d’Italia ha appena passato il primo esame in commissione Cultura alla Camera. Si vuole istiture la “Settimana nazionale della scrittura a mano”, puntando al riconoscimento della calligrafia come patrimonio dell’umanità Unesco, in un misto tra «sviluppo delle capacità cognitive» e difesa «di un elemento fondamentale della cultura italiana e occidentale».C’è poi un aspetto della scrittura manuale che ha a che fare con ognuno di noi. Per la grafologa Valeria Angelini «è un’espressione unica e irripetibile di una persona. Ogni tratto di penna racconta caratteristiche di chi scrive: la pressione della mano, il ritmo, la fluidità, le variazioni nello stile».Certo non si può fermare il vento. Allora per allenare la manualità fine si può arrivare a Giove, in Umbria, dove il maestro elementare della scuola di Cenci, Franco Lorenzoni, ragiona: «Oggi i bambini sanno usare le tastiere ma non sanno allacciarsi le scarpe. Ricominciamo dai nodi, usiamo la creta, dipingiamo, usiamo colori di forme e materiali diversi, creiamo un orto, tocchiamo la terra. L’uso della mano è una forma di intelligenza, ridurla a un polpastrello che digita è una forma di deprivazione culturale». E allora sì, viva l’esercizio di stile del corsivo, «basta che non diventi un dogma», che non sia legge, «perché la didattica è libera. Bisogna moltiplicare i linguaggi, non ridurli».