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 2024  ottobre 31 Giovedì calendario

Italo Bocchino contro Carlo De Benedetti

Caro Aldo, 
ho letto la sua intervista a Carlo De Benedetti, che però contiene uno strafalcione. Definire Tatarella un «fascista» è una bestemmia che non tiene conto del ruolo storico di colui che ideò la svolta di Fiuggi e depurò la destra da ogni nostalgismo. Negli anni questo ruolo gli è stato riconosciuto da tutti, a partire dal presidente della repubblica Sergio Mattarella, che di Tatarella era amico. Quello di De Benedetti è uno scivolone anche perché Tatarella con lui non fu solo un gentiluomo, ma per esserlo dovette frenare molti impulsi del governo di allora per non dare ad Omnitel la concessione della telefonia. Sono stato testimone diretto del rapporto tra Tatarella e De Benedetti e con quest’ultimo ho intrattenuto cordiali relazioni negli ultimi trent’anni, ma sentirgli dire che Tatarella era un «fascista» è davvero troppo. Per onore del vero posso raccontare che i due ebbero tre incontri, il primo riservatissimo a casa di Giovanni Valentini che fu l’artefice del rapporto e dell’armonia tra loro. Il secondo a Palazzo Chigi, al termine del quale Tatarella regalò a De Benedetti il «Manifesto dei Conservatori» di Prezzolini per fargli capire che cos’era la destra di governo che si stava realizzando. Il terzo al ministero delle Poste e Telecomunicazioni. Erano gli anni Novanta e, dopo aver ottenuto la concessione, De Benedetti disse a Tatarella: «Lei ha fatto una cosa importante per me, che cosa posso fare io per lei?». Tatarella rispose: «Per incontrare lei mi sono dovuto svegliare troppo presto e non ho preso il caffè. Andiamo al bar e me ne offra uno». De Benedetti capì che a Tatarella interessava solo la politica e dopo poco ricambiò la correttezza con il famoso editoriale di Scalfari sullo «sdoganamento della destra».
Italo Bocchino
Caro Italo,
grazie a lei per la sua bella testimonianza. Comincio dalla fine: escludo che Eugenio Scalfari si facesse ispirare gli editoriali da Carlo De Benedetti, anzi avendolo conosciuto abbastanza bene credo che, se De Benedetti gli avesse chiesto un editoriale, Scalfari avrebbe fatto apposta a scrivere il contrario. In effetti, a margine dell’intervista, De Benedetti mi ha raccontato l’incontro con Tatarella, e il dono del libro; nel corridoio di Palazzo Chigi l’Ingegnere incontrò Augusto Minzolini, che con la sua prontezza di Squalo – quello era il suo soprannome quando era il miglior cronista parlamentare, che se posso permettermi è la cosa che ha fatto meglio in vita sua – lo fotografò con quel libro sottobraccio, come se De Benedetti avesse fatto proprie le idee della destra. Sempre secondo il suo racconto, Tatarella gli disse: «Vede che non siamo faziosi, visto che diamo a lei le frequenze». «Mi date le frequenze non perché non siete faziosi ma perché ho vinto un’asta» fu la risposta. 
Ma veniamo al punto. Ovviamente le parole appartengono a chi le dice, e non spetta all’intervistatore fare l’esegesi di quelle dell’intervistato. Ma credo che per De Benedetti missino e fascista siano sinonimi. Sbaglia? Non saprei. Nell’ultimo libro di Nicola Rao sul caso Ramelli, si cita un passo di Giorgio Almirante in cui l’allora leader del Msi auspica un colpo di Stato autoritario in Italia. È probabile che molti missini la pensassero diversamente. Altri missini erano a destra di Almirante. Giuseppe Tatarella detto Pinuccio a me pareva più un democristiano di destra che un fascista; ma quando al suo allievo Ignazio La Russa gridarono «fascista!», rispose: «Adulatore!». Gianfranco Fini era convinto che per andare al governo la destra postmissina dovesse dichiararsi antifascista; prese lo 0,4%. All’evidenza, conosceva poco gli italiani. Ovviamente questo governo non ha nulla a che vedere con il fascismo. È lì perché ha vinto le elezioni, e se si votasse domani le rivincerebbe. Ma molti ministri, a cominciare dal presidente del Consiglio, non sono antifascisti, semmai anti-antifascisti. Lo so che all’opinione pubblica non importa nulla. Ma così stanno le cose.