Libero, 30 ottobre 2024
I luoghi italiani della stregoneria
Come da copione regionale, i friulani sono gente sana, seria e sobria. Però anche tra loro vibra la “corda pazza” che – Pirandello e Sciascia insegnano – è tratto caratteristico dei siciliani.
La “corda pazza” dei friulani si chiama sciamanesimo. Uno pensa subito all’Amazzonia, alle Ande, alla Siberia, ma gli sciamani, «uomini ispirati dagli spiriti», sono sempre stati dappertutto, a mantenere il necessario equilibrio tra gli elementi naturali, a curare, a guarire. E basta? E senza che la pratica possa sfuggir di mano e che dalla magia “bianca” si possa scivolare in quella “nera”, tra streghe e dintorni?
Ecco, a proporre una cerca degli spazi, tutt’altro che sacri, dove si scatenano sinistre maliarde e demoniache combriccole, ha provveduto Marina Montesano, docente di Storia Medievale all’Università di Messina, con un agile libretto all’insegna del “cerca e trova”, dove si parla anche del Friuli “magico” ( I luoghi della stregoneria, Il Mulino, pp. 152, euro 16). E il tutto capita a proposito, visto il nodo irrisolto della morte di Alex Marangon. Ritrovato quattro mesi fa nelle acque del Piave, a Treviso, nel Veneto, non lontano dal Friuli sciamanico che affascinava il giovane. Al punto da portarlo a sorbire un decotto psichedelico in memoria delle origini? Forse.
Il Friuli delle streghe è un capitolo rapido e puntuale del volumetto della Montesano, che, tra l’altro, propone delle riflessioni sui cosiddetti “Benandanti”, una congrega friulana che proteggeva il raccolto dei campi dalle malie delle streghe. Ma per l’Inquisizione non è che “andassero” tanto “bene”: erano cristiani o nostalgici del paganesimo? Bè, c’era più propensione a formulare sentenze di condanna che ad indagare la complessità del fenomeno. E forse gli stessi Benandanti qualche dubbio sulla loro “identità” ce l’avevano. Insomma, non si sentivano stregoni ma un po’ maghi, sì!.
Ma girando per i “luoghi della stregoneria – tra dati, date, documenti, aneddoti – è chiaro che il “viandante” viaggia “affascinato” (“fascinum” era la malia stregonesca, ma anche l’amuleto protettivo) e inquieto. Comunque, appagato dalle notizie: e qui ce ne sono tante, dal Piemonte alla Sicilia, dalla Lombardia alla Toscana, dalla Liguria alla Sardegna. È d’obbligo “correre” scegliendo qua e là qualche profumato (si fa per dire) “fiore del male”. A Milano il primo “caso” fu quello di Giovanni Grassi, arrestato nel 1375 e portato ad Avignone, dove in quel periodo si trovava la sede del papato. Grassi era uno “stregone”? Probabilmente no, ma, impaurito, confessò di avere rapporti col diavolo. Assolto. Dieci anni dopo, Grassi fu arrestato un’altra volta. L’accusa? La solita. E stavolta ci fu il rogo, dove sarebbero state arrostite anche Pierina de Bugatis e Sibilia Zanni, che, avendo reso omaggio alla “Domina Ludi” e cioè a Diana, l’avevano accompagnata volando in un corteo notturno. Anche in questo caso, paganesimo ritornante e incombente.
In Piemonte le streghe si chiamavano “masche”, un’espressione che probabilmente deriva dalle maschere messe sui volti dei morti. Le streghe sono “revenanant”, fantasmi, larve? Non si direbbe, visto che dai processi venivano fuori orge col demonio, notoriamente attratto da tutto ciò che si chiama “carne”.
Triora, un villaggio ligure, con poche centinaia di abitanti, è stato ribattezzato la “Salem d’Italia”. Che accadde? Anno 1587, siccità, scarsità alimentare, alta mortalità infantile. C’è qualcuno che ha lanciato malefici? Abitanti pochi, come si è detto, ma sospettati tanti. Due donne si gettano dalla finestra. Un’altra, Isotta Stella, viene condannata e gettata in un letamaio. E per anni e anni i furori imperversano con la Repubblica di Genova e la Congregazione del Sant’Uffizio che cercano di spengere fuochi che hanno contribuito ad accendere.
Ma in fatto di streghe e di processi alle streghe è difficile parlare di colpe. Perché alle responsabilità delle accusate (quasi sempre ci sono più streghe che stregoni. E qui, va detto, il pregiudizio contro le “femmine”, naturalmente propense alla lussuria, pesa, eccome!) bisogna sommare la fertilità di un immaginario che crea “mostri” dove, come e quando gli pare.
I “luoghi della stregoneria” sono esemplari per questo bisogno che le “umane genti” hanno di infierire, affidandosi al braccio armato della Legge, su chi appare diverso e per ciò sospetto, anche se un attimo prima ce ne siamo serviti a nostro comodo, magari per curare un mal di pancia. Senza dimenticare, però, che dai secoli dei secoli, ci sono i “cattivi” che hanno caro il “male”, e, quando possono lo fanno con immenso piacere.
Di strega in strega, si cammina molto inquieti ma altrettanto curiosi. Ecco la romana Finicella che, nel XV secolo, confessò di avere ucciso trenta bambini succhiandone il sangue; le siculissime e bellissime “donne di fuora” che di notte venivano a scegliersi dei baldi giovani uomini, facendo vedere loro cose mai viste, tra balli, suoni e conviti; le “mayarge” di Sardegna, esperte in “berbos”- scongiuri – e in “pungas”, ovvero “brevi”(involti di stoffa, talismani) da portare addosso, in tasca o sotto gli abiti.
Streghe cattive e fate buone? Dai Monti Sibillini alla Toscana, dall’Umbria a Benevento, dalla modenese Mirandola alla romana Fiano, c’è un Graal che brilla di tenebrosa luce.