il Fatto Quotidiano, 30 ottobre 2024
In un supermercato stipendio di 4 euro all’ora
Quattro euro l’ora per 50 ore settimanali. Se la busta paga fosse stata superiore a 1.000 euro, tutte le somme eccedenti avrebbero dovuto essere restituite in contanti al datore di lavoro. Funzionavano così le cose nei cinque supermercati di Montepaone, Soverato e Chiaravalle, in provincia di Catanzaro, al centro dell’inchiesta della guardia di finanza che ha arrestato l’imprenditore Paolo Paoletti. Condizioni di lavoro degradanti e paghe da fame. C’era anche chi era costretto ad accettare una retribuzione di 3,33 euro all’ora per un totale di 700 euro mensili, meno della metà del limite previsto dal Contratto collettivo nazionale di lavoro. Su richiesta della Procura, inoltre, sono finiti agli arresti domiciliari il consulente del lavoro e il responsabile amministrativo. Per i responsabili di due punti vendita il gip ha disposto l’obbligo di dimora. Le Fiamme gialle hanno sequestrato 6 attività commerciali per un valore di oltre 27 milioni di euro. C’era un “sistema Paoletti”. Lo descrive bene uno dei dipendenti: “Coloro i quali sono assunti part-time sono in realtà costretti a lavorare almeno tre ore al giorno in più di quanto contrattualizzato. I dipendenti assunti con contratto a tempo pieno sono costretti a restituire parte dello stipendio”. “Ogni mese, per evitare problemi col mio datore di lavoro Paolo Paoletti – racconta un altro lavoratore – dovevo recarmi in banca e ritirare i 300 euro che dovevo restituire per garantirmi il posto di lavoro”. I soldi finivano sempre in tasca a Paoletti. È lui, inoltre – scrivono i pm – “a imporre ai dipendenti, dietro minaccia di licenziamento, di dichiarare il falso agli organi sanitari preposti alle cure nel caso di infortuni sul lavoro”. “È capitato che mi tagliassi le mani, lavorando in macelleria – mette a verbale uno dei dipendenti – ma su disposizione di Paolo Paoletti, in Pronto soccorso, ho dovuto dichiarare di essermi fatto male a casa”. Ma c’è di più: l’imprenditore avrebbe installato anche una cimice all’interno degli uffici amministrativi per controllare i suoi lavoratori che venivano assunti, mentre percepivano il reddito di cittadinanza o la disoccupazione: “Appare innegabile – scrive il gip – che la percezione del sussidio abbia spinto i soggetti ad accettare la ‘svantaggiosa’ offerta di lavoroprospettatagli,giacché lapropriacondizionerappresenta indubbiamente una situazione di grave difficoltà, trattandosi di sussidi temporanei e di un mercato del lavoro particolarmente svantaggioso per il lavoratore”.