Avvenire, 30 ottobre 2024
Interessanti dati sugli stranieri in Lombardia
In Lombardia gli stranieri residenti sono circa un milione e 200mila, il 22% del totale nazionale. Il 36%, pari a circa 430mila persone, proviene da altri Paesi europei; tra le provenienze, la comunità rumena si attesta al primo posto, seguita da quella egiziana, e poi da quella marocchina, albanese e cinese. L’età media, 35 anni, è più bassa di quella italiana (47 anni). E Milano con i suoi 492 mila stranieri, pari al 9,2% del totale nazionale si conferma la seconda provincia italiana dopo Roma. Sono i dati resi noti dal Dossier statistico sull’immigrazione 2024 realizzato dal Centro Studi e Ricerche Idos in collaborazione con il Centro studi Confronti e l’Istituto Pio di studi politici San Pio V, presentato ieri nella sede milanese di Emergency.
Dai dati, relativi al 2023, in regione sono presenti precisamente 1.216.895 residenti stranieri; un numero che registra un ulteriore incremento del 3,5% (nel 2022 erano aumentati dell’1,8%), per un’incidenza di poco più del 12% sul totale della popolazione lombarda, pari a 10.020.528 individui; la Lombardia è al secondo posto tra le regioni per incidenza di stranieri dopo l’Emilia Romagna. Un dato interessante riguarda la diminuzione delle acquisizioni di cittadinanza italiana: poco più di 47mila, rispetto alle 55.592 del 2022 (-15,4%), anno in cui si era registrato un forte “rimbalzo” dopo la contrazione dovuta alla pandemia. Un altro dato riguarda invece la denatalità, che oltre a quelle italiane coinvolge anche le famiglie di cittadinanza straniera, le cui nascite hanno subito una contrazione dell’11% negli ultimi due anni; solo l’anno scorso il calo è stato del 6,1%.
Nel 2023 gli occupati stranieri (comunitari e non) in Lombardia ammontavano a 581.800 lavoratori, di cui il 78% da Paesi non Ue. Rispetto al 2022, nella regione, il dato degli occupati stranieri ha registrato un incremento del 4,2%; le lavoratrici non Ue sono aumentate inoltre dell’8,3%. In generale, si tratta di lavoratori che per il 58% hanno un’età compresa tra i 15 e i 44 anni e che svolgono prevalentemente una attività di tipo subordinato (87%). Il 74% è inquadrato come operaio, mentre il 12% come impiegato. I lavoratori stranieri svolgono la propria attività prevalentemente nei seguenti settori: industria (21,5%), servizi collettivi e personali (20,9%), costruzioni (11,9%), alloggio e ristorazione (10%), trasporto e magazzinaggio ( 7,5%) e commercio (7,2%). Quello delle lavoratrici straniere occupate nel settore nei sevizi collettivi e personale rimane il dato più consistente in assoluto: il 40,5% del totale, che raggiunge il 45,3% se si considerano solo le lavoratrici con la cittadinanza di un Paese non Ue. Del resto, stando agli ultimi dati Inps, la Lombardia è la regione con la massima concentrazione di lavoratori domestici non comunitari (26% del totale nazionale).
Per Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia delle Migrazioni all’Università degli Studi, questi dati «smentiscono la retorica di un’immigrazione fuori controllo. Si tratta di un fenomeno in prevalenza femminile, per circa la metà europea, e viene per circa tre quinti da Paesi di tradizione culturale cristiana. Rifugiati e richiedenti asilo, che sono l’oggetto dello scontro ideologico, sono circa 450 mila, cioè meno di un decimo del totale». «Non siamo assolutamente “invasi” – ha ribadito la segretaria Cisl Lombardia, Roberta Vaia –. La vera emergenza è il cosiddetto “inverno demografico” del nostro Paese, che i cittadini stranieri potrebbero aiutare a colmare: l’unico modo per fermarlo è quello di regolarizzarsi, lavorare e coabitare con le persone nate in Italia».
Alla presentazione è intervenuto anche l’assessore al Welfare del Comune Lamberto Bertolè, che non ha mancato di criticare la gestione nazionale dei flussi: «Il nostro Paese continua ad affrontare il fenomeno della migrazione in maniera emergenziale, invece che strutturale, con leggi inadeguate che generano marginalità. Abbiamo migliaia di persone in Italia che chiedono asilo politico, protezione umanitaria e che per la poca organizzazione nazionale su questi temi hanno tempi lunghissimi»; una miopia, secondo l’assessore, che «ricade inevitabilmente sugli enti locali come il Comune di Milano».