Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  ottobre 30 Mercoledì calendario

Le morti sulle piste da sci

La pista di sci come luogo di morte. Incidenti nefasti che uniscono generazioni di atleti, ma che nel tempo si sono per fortuna ridotti. L’at-tenzione posta sulla sicurezza, i nuovi dispositivi di protezione in pista, i caschetti integrali sulle teste dei velocisti, gli airbag lungo le loro schiene. Si è fatto di tutto per scongiurare episodi come quello capitato alla sfortunata Matilde Lorenzi, ma a volte basta un pizzico di sfortuna per mandare all’aria gli accurati piani di prevenzione.
Il momento di non ritorno che aprì un nuovo capitolo in tema di sicurezza capitò trent’anni fa. È esistito un prima e un dopo rispetto al 29 gennaio 1994. Garmisch-Partenkirchen, pista Kandahar, discesa libera femminile di coppa del mondo. Fu quella l’ultima competizione del massimo circuito scandita da un evento mortale. A perdere la vita fu l’austriaca Ulrike Maier. L’allora ventisettenne salisburghese batté la testa contro un paletto a bordo pista, il casco le si sganciò nell’impatto e lei rimase esanime sul tracciato. Aveva vinto due titoli iridati di supergigante, nel 1989 e nel 1991, era salita venti volte sul podio di coppa, calpestando per cinque volte il gradino più alto ed era madre di una bambina di quattro anni. La sua morte scosse il circo bianco nel periodo in cui le tv stavano cominciando a dettare legge. Da quel momento in poi le protezioni furono migliorate, i tracciati segnati con aghi di pino, la ricerca scellerata della velocità massima subì una frenata, tute e caschi furono ripensati a tutela degli atleti. Ci volle il sacrificio di una delle sciatrici più forti per far sì che il movimento assumesse coscienza del pericolo, stessa cosa che accadde pochi mesi dopo anche in Formula 1 con la morte di Ayrton Senna.
Gli anni Duemila sono stati scanditi da due lutti, entrambi in casa francese. Sono passati quasi sette anni dal 14 novembre 2017, data del decesso di David Poisson, durante un allenamento a Nakiska, in Canada. Il transalpino uscì di pista in una curva presa ad alta velocità, fu sbalzato in aria e superò due file di reti di protezione, finendo su un albero. Un trauma per i francesi, che sedici anni prima, il 31 ottobre 2001, avevano dovuto assorbire il dramma per la morte di Regine Cavagnoud, deceduta a Pitztal in seguito a uno scontro in allenamento con il suo allenatore, pochi mesi dopo essersi laureata campionessa iridata di supergigante. Appena due episodi tristi in tre decenni, a testimonianza dei passi da gigante compiuti sul piano della sicurezza. In precedenza, fino ai primi anni ’90, i lutti erano continui, in un’epoca dove la massima protezione a bordo pista era rappresentata da una balla di fieno. Gernot Reinstadler, discesista austriaco, morì ad appena 21 anni nel gennaio 1991 durante le prove sul Lauberhorn di Wengen. Era a un passo dal traguardo, viaggiava ad appena 80 all’ora, ma sbattendo sulle reti lo sci destro rimase impigliato, causandogli la rottura del bacino e un’emorragia interna risultata fatale. Rainstadler non riprese conoscenza, morendo all’ospedale. Durò molto di più l’agonia di Leonardo David, morto nel 1985 a 25 anni, dopo sei anni di coma per le conseguenze di due cadute. La prima avvenne il 16 febbraio 1979, durante la prova della libera di Cortina d’Ampezzo, quando il pupillo di Gressoney batté la testa, ma i successivi esami non evidenziarono danni cerebrali. Tre settimane più tardi, nonostante i disturbi che continuavano ad affliggerlo, David partecipò alla discesa libera preolimpica di Lake Placid, ricadde e batté la testa. Da lì rimase in stato di coma fino a esalare l’ultimo respiro nel 1985.
Il pioniere delle morti sugli sci fu un italiano di Bormio, all’anagrafe Giacinto Sertorelli, che nell’ambiente tutti chiamavano Cinto. Morì il 28 gennaio 1938, tre giorni dopo aver violentemente sbattuto la testa contro un albero sulla pista Kandahar di Garmisch. Al suo funerale partecipò anche l’erede al trono d’Italia, Umberto II di Savoia, e oggi un tratto della pista Stelvio di Bormio è a lui dedicata. A quel tempo la coppa del mondo non esisteva, pertanto la prima vittima in una gara del circo bianco fu il francese Michel Bozon, caduto a Megève nel 1970. Un lungo elenco, sperando di non dover aggiungere altre righe.