la Repubblica, 30 ottobre 2024
Intervista a Henk Rogers, imprenditore del Tetris
Immaginate la scena. Volo intercontinentale, prima classe. Un uomo cerca invano di incastrare tre bagagli nella cappelliera. Prova e riprova, ma niente: non ci stanno. Un passeggero si offre di aiutarlo: ne tira fuori prima uno, poi un altro, gira il terzo su un fianco e infine incastra gli altri due. L’intera cabina applaudendo esclama: «Tetris!». «È stato molto buffo, perché nessuno immaginava chi io fossi», dice Henk Rogers ridendo di gusto.Ma chi è Henk Rogers? Settant’anni, nato in Olanda, molti anni a Tokyo, oggi si divide tra le Hawaii e New York, è il programmatore di computer e imprenditore che ha fondato la Tetris Company. Nel 1989 è volato a Mosca, sfidando la cortina di ferro, per portare il gioco di incastri anche fuori dalla Russia. La storia di quel viaggio è talmente avventurosa che è diventata un film, Tetris di Jon S. Baird. Nel 2024 il gioco più venduto di tutti i tempi (oltre 520 milioni di copie), talmente famoso da diventare una metafora, bandito dagli uffici di mezzo mondo perché crea dipendenza (chiunque ci abbia giocato lo sa), ha compiuto 40 anni e adesso Rogers e Alexey Pajitnov, lo sviluppatore russo che lo ha inventato, arrivano in Italia per la grande festa organizzata per Tetris a Lucca Comics.Siamo collegati su Zoom. A Samoa sono le sette del mattino e Rogers – abbronzato, ciuffo bianco sulla fronte, fisico sportivo (brucia 4 mila calorie al giorno camminando) – sta bevendo un caffè. Prima di lui, sul monitor, è comparso un assistente generato dall’intelligenza artificiale: non lo userà, ma resterà lì per tutta la durata della chiamata.L’I.A. avrebbe potuto creare Tetris?«L’intelligenza artificiale non sa se qualcosa è divertente. Non sa se qualcosa è interessante».Tetris, il gioco impossibile da completare – finora ci è riuscito solo un ragazzino di 13 anni: Willis Gibson, era il 2023 – è umano. Siamo noi. Qual è il suo segreto?«Crea ordine dal caos: in altre parole migliora le cose. E poi permette di prendere decisioni in una vita, la nostra, che può essere monotona».Quando ci ha giocato per la prima volta?«Nel 1988, a Las Vegas, alla fiera dell’elettronica. Il mio lavoro era trovare nuovi giochi per il mercato giapponese: ne provavo tantissimi e passavo da una macchina all’altra inmassimo tre minuti. Finché non mi sono imbattuto in Tetris: mi sono fermato solo quando mi hanno fatto notare che dietro di me c’era una lunghissima coda».La storia di come ha portato il gioco fuori dalla Russia è diventata un film. Come andarono le cose?«È stata un’avventura. Nintendo stava lanciando il Game Boy e Tetris era perfetto per la console. Ma la questione dei diritti era ingarbugliata e l’unico modo per tentare di spuntarla era andare in Russia e parlare con la Elorg, l’azienda sovietica che aveva il monopolio sull’esportazione dei software».Non esattamente un viaggio facile nel 1989.«Nessuno parlava inglese. Nessuno, apparentemente, era in grado di aiutarmi. Era inverno e morivo di freddo. Ero certo che avrei potuto comprare una pelliccia al mio arrivo ma a Mosca le pellicce si compravano fuori stagione: non ne trovai nemmeno una».Cosa fece?«Ero un appassionato del gioco da tavolo Go. Cercai un’associazione e alla fine riuscì a giocare, e a battere, il terzo giocatore più forte dell’Urss. Ma nemmeno lui parlava inglese. La svolta è arrivata quando ho ingaggiato un’interprete nella hall del mio hotel: erano tutti del Kbg ma lei era intelligente e vivace e mi ha portato alla Elorg. Dove naturalmente non volevano ricevermi. Nel frattempo, a Tokyo, dove viveva la mia famiglia, alcuni uomini si presentarono nel mio ufficio per fare domande. Amici e parenti erano preoccupatissimi di non rivedermi. Le cose si mettevano male: la Russia non aveva intenzionedi cedere i diritti e io avevo ipotecato tutti i miei beni per produrre 200mila cartucce di Tetris da distribuire con il Game boy. E invece al secondo giorno di trattative...».Chiuse il contratto che avrebbe fatto la storia del videogioco.«Era un accordo chiaro, senza trappole, che da quel momento Elorg ha usato come modello. Ma soprattutto in quelle 48 ore ho conosciuto Alexey Pajitnov con il quale ho fondato la Tetris company».La vostra è la storia di una grande amicizia: fu lei ad aiutarlo a lasciare l’Urss.«Ad Alexey piace la musica classica, a me il rock. A lui piace pianificare, a me l’avventura. Siamo molto diversi, quello che abbiamo in comune è che siamo amici. E che odiamo Putin, un dittatore malvagio che toglie il futuro ai russi».I videogiochi sono un pericolo per i bambini?«Sono un esercizio per la mente, sono come lo sport: ce ne sono di violenti e di belli. Bisogna scegliere. Ma aiutano i più piccoli a prepararsi al mondo digitale che è il futuro».Lei su Tetris ha scritto anche un libro.«Sì, è un’autobiografia, uscirà ad aprile. Racconta la mia vita con i videogiochi. Tutto è iniziato con Monopoli che da bambino mi ha insegnato a negoziare. Negli ultimi anni ho fondato la Blue Planet Foundation e mi occupo invece di cambiamento climatico: le alternative al carbone e al petrolio esistono. Oggi alle Hawaii siamo al 36 per cento di energie rinnovabili».Come è stato vedere la sua storia al cinema?«Quando abbiamo letto la sceneggiatura io e Alexey temevamo sarebbe stato un film orrendo. Invece è molto bello. Mi sono commosso».Abita a New York: se Trump e Kamala Harris si sfidassero a Tetris?«Vincerebbe Kamala. Ma Trump direbbe che ha barato da imbroglione e bugiardo quale è».Gioca ancora ai videogiochi?«Ogni giorno, a Wordle. Sono fortissimo».Ci sarà mai un’ultima partita a Tetris?«È come il calcio, come il baseball. Spero diventi prima o poi una disciplina olimpica».