La Stampa, 30 ottobre 2024
Intervista a Carlotta Gamba, attrice
Come una piccola matrioska, Carlotta Gamba, torinese, classe 1997, si apre a poco a poco, e, in ogni nuova bambolina, custodisce un segreto. Esile, duttile, capace di essere estrema, ferita e selvaggia come nella serie Dostojevski dei fratelli D’Innocenzo, ma anche angelicata come la Beatrice del Dante di Pupi Avati, Gamba è una delle attrici più ricercate e promettenti del cinema italiano: «Il mio lavoro è un’incognita e io voglio continuare a considerarlo così, per restare sempre sveglia e attenta, senza mai darlo per scontato. Vorrei conservare la fame che avevo al mio primo provino».Alla Festa del cinema di Roma ha appena presentato L’Albero della figlia d’arte Sara Petraglia e adesso è impegnata in un’altra impresa importante: «La serie di Marco Bellocchio Portobello, sul caso Tortora. Sono sua figlia Silvia. Ho letto il libro con le lettere che padre e figlia si scambiavano quando lui era in carcere. Prima, tra loro, non c’era stato un gran rapporto, ma, durante la detenzione, si stabilisce un legame forte, di dolore per quello che stava accadendo, ma anche di amore incondizionato, fedele, ossessivo, che mi ha affascinato e fatto pensare al legame che ho con mio padre». L’incontro con un grande autore come Bellocchio è stato emozionante: «Ne sono innamoratissima, è stupendo vederlo lavorare e scoprire, con lui, un altro modo di fare la regia. Sul set immagina le scene e cerca di spiegartele anche solo con gli occhi, sono felicissima di far parte della serie, anche se con un ruolo piccolo». Grazie al podcast di Stefano Nazzi, Gamba è entrata in contatto con la vicenda del presentatore ingiustamente accusato di associazione camorristica: «Fino ad allora non ne sapevo molto, sono rimasta colpita e sono andata più a fondo».Ogni nuova avventura ha un segno distintivo, quella con i D’Innocenzo è importante anche dal punto di vista sentimentale perché l’attrice è poi diventata la compagna di Fabio che, prima di Dostojesvski, l’aveva diretta in America latina: «Con loro ho cambiato il modo di vedere il cinema… per me, sono stati i primi in tutto, poi sono nati altri sentimenti. Mi hanno insegnato le cose fondamentali, mi hanno fatto conoscere un cinema di qualità che io non avrei mai visto. Mi hanno fatto capire cosa è possibile fare con la recitazione, per me rappresentano la svolta». Con Pupi Avati, ovviamente, il viaggio è stato diverso: «Ero spaventata, lui ha tanti anni e tanta esperienza più di me, la sorpresa è stata scoprire che è rimasto un sognatore. Con lui c’è stato un vero incantamento, si è creata un’intesa speciale, fatta di sguardi e di poche parole, un vero maestro».Sul set di Gloria! di Margherita Vicario, ha avviato la sua collezione di registe donne: «Quello che conta, nei film, non è il sesso di chi li dirige, ma la motivazione e la sincerità, con cui vengono realizzati». In Vermiglio ha fatto altre scoperte: «Mi è piaciuta tanto la sincerità con cui Maura Delpero racconta i sentimenti. Oggi, causa social, siamo quasi drogati di emozioni. Ai tempi di Vermiglio i sentimenti erano semplificati, non rimpiccioliti, anzi, proprio per questo, ancora più potenti».La scelta della recitazione è arrivata presto, con i corsi presso l’Accademia Silvio D’Amico, dove Gamba ha studiato teatro: «Da bambina ero innamorata del musical, quando sono arrivata a Roma sono andata a vedere gli spettacoli all’Argentina e ho pensato subito che avrei voluto fare proprio quella cosa lì. Ho capito presto, però, che quel circuito è forse più inaccessibile, arrivare a fare un provino per il teatro è molto più complicato che riuscirci per un film». I genitori di Gamba non hanno niente a che fare con il mondo del cinema, ma con quello dell’arte sì: «Mio padre ha lavorato per tanti anni alla Ferrero, mia mamma è un po’ creativa, fa l’art director in un’agenzia pubblicitaria. Li sto iniziando io a questo universo». La scelta della figlia ha provocato reazioni differenti: «Mio padre aveva un po’ paura, forse per un senso di protezione, mamma, invece, mi ha lasciato libera, non mi ha mai trasmesso i suoi timori».Quando non recita, Gamba ascolta musica americana indipendente e, soprattutto, dipinge: «Mi piace creare. Interpretare un ruolo significa lavorare sul conscio e l’inconscio, sull’emotività, cioè su qualcosa che non si vede e non si tocca. Per questo, forse, avverto un forte bisogno di praticità». Recitare, per Gamba, risponde a un bisogno profondo: «Sfuggire a me stessa, mi rassicura l’idea di rifugiarmi in altre vite, altre culture, altri luoghi, altre lingue sentire la connessione, l’empatia, con un personaggio che non esiste. La magia è provare gli stessi sentimenti di qualcuno che, in realtà, è un’invenzione».