La Stampa, 30 ottobre 2024
La mia Liguria non sa guardare al domani
Visto che sono un incallito sinistrorso e un fiero erede dell’irriducibile gente Apua, ho diverse buone ragioni per non essere contento di come sono andate le elezioni in Liguria, ma più cogente è senz’altro lo smacco di un’orrida certezza, vedranno ancora i popoli d’Europa galleggiare, a pagamento, sui loro sacri fiumi la plastica rappresentazione del macchiettistico indecoro a cui si è ridotta l’idea stessa di Liguria, il mortaio gonfiabile, il più grande del mondo, e questo è un record che nessuno oserà contrastare, che già ha solcato il Tamigi al grido di «Pesto Master Piece o f Liguria». Era un’idea di Toti naturalmente, il presidente re dell’avanspettacolo, ma a Bucci piaceva un sacco, lui per il pesto ci va matto, e così quell’affare galleggerà a tempo indeterminato sulla nostra vergogna, finché alla fine dei tempi si sgonfierà e non si troveranno i soldi per mandare qualcuno a ridargli una gassata. E pensare che a me Marco Bucci mi è davvero simpatico; questo texano prestato all’inflessione genovese, questo cowboy del fare che fa il John Wayne al galoppo del ponte Morandi, come il grande John onesto ma onesto per davvero, e come il grande condottiero di mandrie di manzi e carovane di pionieri coltiva la sua onestà nel mezzo di saloon affollati da fuorilegge, salutando, se necessario, con un distaccato cenno e giocando una mano di poker solo se c’è da incastrare il baro. E comunque lui i saloon non li bazzica, lui ha da fare.Eppure non credo che Marco Bucci abbia vinto le elezioni essendo l’uomo del fare; infatti nella città dove sta ancora esercitando il suo secondo mandato di sindaco, e dove ha fatto e ha garantito che molto farà, ha perso, nettamente perso. Forse perché va bene il fare, a me compreso piace moltissimo fare e veder fatto, ma forse al verbo fare va aggiunto qualche straccio di complemento, cosa fare, come farlo e perché farlo, e quello scampolo di cittadini che ha avuto ancora voglia di esercitare la sua sovranità nell’urna, ha molto da ridire sui complementi. Intorno al fare un inciso sul metodo Morandi. Che si regge su tre pilastri. Il primo, è che il crollo del ponte ha subito assunto, e giustamente, lo status di tragedia nazionale, e la nazione intera, il governo e lo stato e l’opinione pubblica, se ne è presa carico, Genova non è mai stata lasciata da sola alla propria tragedia. Secondo, due giorni dopo il crollo il titolare di uno dei più grandi studi di architettura del mondo, Renzo Piano, se ne stava curvo su un blocco di carta a disegnare e disegnare e disegnare il ponte che sarebbe stato, non richiesto e non convocato se non dall’imperativo morale che alberga nel suo cuore; in tempi non immaginabili in una normale e non kantiana temperie, del suo lavoro ne ha fatto dono alla nazione. Terzo, il ponte San Giorgio è stato costruito in tempi record grazie alla deroga da praticamente tutti i lacci, laccioli e lacciacci di carattere normativo e burocratico. L’eccezione dalla norma può mai diventare la norma? Sarebbe bello allora che il metodo Genova fosse stato applicato, ad esempio, alle tre alluvioni di Emilia Romagna; non che non fosse richiesto dalle comunità, ma evidentemente la nazione, almeno nella parte di governo e stato, ha pensato che no, che le regole, andavano rispettate e meglio ancora complicate, aggiungendo non lacci ma nodi scorsoi che hanno dato i loro perversi frutti ben descritti anche da questo giornale.Almeno tecnicamente la vittoria a Marco Bucci gli è stata consegnata dal principato di Imperia. La ridente città di Imperia è sommariamente e impropriamente allegata alla regione, in realtà è proprietà della nobile e vetusta dinastia Scajola, quello della meravigliosa attestazione di insindacabilità nel «a mia insaputa». Imperia è dedita senz’altro al fare, propriamente al fare i propri interessi, di qualsivoglia natura, ed è sempre stato così, connaturato alla casata che presto, si vocifera, si unirà in federazione alla casata Grimaldi di Monaco in una nuova e stimolante prova di europeismo dei principati. Sia chiaro, in nome dei propri interessi il principato si è proficuamente concubinato con partner di vario colore senza star lì a spaccare il capello in quattro su questioni ideologiche o etiche; gli affari sono affari, e come non è stato Toti il primo a salire sulla ben salda passerella della barca di Spinelli, così con la casata hanno a suo tempo intessuto buone relazioni anche i passati regimi vetero comunisti. E qui c’è una ragione, una delle ragioni, per quello che conta pur onorevole, della sconfitta di Andrea Orlando. Troppi vecchi elettori di sinistra, e i loro nipoti a cui si sono dedicati nella pratica memoriale, ricordano con dolore, con astio, con disincanto, come la sinistra che per decenni ha retto la regione e le sue città, abbia presto dimenticato di governare per dedicarsi al potere. Potere non è sinonimo di governo, nella fattispecie ligure, è gestione delle rendite di posizione, è infine immobilismo, ostracismo verso i non sodali, malgoverno in nome degli interessi particolari avverso all’interesse generale. Ricordano la disinvoltura con cui la sinistra non ha governato, non ha voluto governare, gli appetiti che hanno consunto e disfatto l’incalcolabile patrimonio naturale riducendo la regione a un mostruoso anfiteatro di cemento, a un forsennato e suicida estrattivismo turistico coronato nella gestione Toti, cinica fino all’insensatezza. Ricordano l’abbandono delle periferie al degrado persino umano, l’incapacità anche solo di immaginare una soluzione progressiva alla grande crisi dell’economia industriale, il mai contrastato avvilimento della dignità di una lunga storia di aristocrazia operaia e artigiana. La supponenza, la strafottenza di coloro che si ritenevano il potere un diritto acquisito ab aeternum. Andrea Orlando non era dei loro, se no altro per anagrafe, ma non è abbastanza diverso per chi sarebbe stato attratto da un radicale mutamento fisiognomico, da una voce davvero nuova, mai ancora ascoltata ma persistente in ciò che rimane di una qualche attrattiva per i potenziali elettori di sinistra, quelli che si astengono per sfinimento, avvilimento, incredulità, l’idea, l’ideale, il disegno, il progetto. Che paesaggio intendi ricreare perché io trovi il mio posto per viverci con dignità e promettenza? In verità questo non è un problema di Orlando, ma di tutto il personale che si riterrebbe pensante nel campo progressista. Ci sono le parole d’ordine, anche ossessive, ma il grande disegno affascinante, convincente, coinvolgente, aggregante al suono di progressisti d’Italia unitevi, l’avete mai sentito, mai visto? Non basta il fare e nemmeno il dire, ci vogliono i complementi.Ma c’è una ragione che si impone sulle altre, e lascio perdere le solite divisioni, bisticci eccetera. La Liguria è vecchia, è la regione più vecchia d’Italia e magari del mondo. I pochi giovani sono invitati a sloggiare, o invitati a restare con il miraggio di abboffarsi delle opportunità di un’economia d’accatto, c’è un gran bisogno di camerieri, di guardaporta per gli affitti brevi, aiutocuochi e lavandai, frullatori di pesto, roba così. Restano i vecchi e i vecchi non hanno un domani, hanno solo l’oggi, arrivare a sera sani è salvi è già un progetto. Per questo non mi ha stupito il risultato elettorale, sono loro che vanno a votare e votano per arrivare a sera senza troppe noie e inciampi. Votano loro e chi ha degli interessi per farlo, non interesse, dico interessi. Interessi che in Liguria sono di norma piuttosto meschini. I balneari, tanto per dire, i detentori di ciò che resta delle rendite di posizione, tutta roba che ha a che fare con la vecchiezza morale e mentale se non fisica. Faccio solo un esempio, ed è esempio luminoso. Monterosso al Mare, la perla delle Cinque Terre, ha rifiutato un finanziamento milionario per la realizzazione di uno scolmatore del torrente che attraversa il paese e ha scatenato l’alluvione micidiale dell’11. La ragione del rifiuto sta negli interessi altrimenti lesi e compromessi dell’industria del turismo che avrebbe avuto per un paio di anni lo scomodo dei movimenti di macchinari ingombranti, e rumorosi e sporcaccioni, oltre, ci mancherebbe, gli interessi dei confinanti lo scolmatore che verrebbero infastiditi o addirittura alienati di preziosissimi metri quadri di proprietà. Per i bravi cittadini di Monterosso il domani non esiste, fatta eccezione per quello che si troveranno in tasca domani. E questi del grande disegno non sanno proprio che farsene. Concludo con un’invocazione per il nuovo presidente Marco Bucci. La scorsa settimana l’ho ascoltata alla trasmissione radiofonica Un Giorno da Pecora rispondere alla domanda se tifa per la Harris o Trump, «io sto con Trump»; mi permetta presidente di farle notare come l’idea del fare di Trump sia un filo difforme dai principi sanciti in questo Paese riguardo alla costituzionalità, alla legalità, alla fedeltà e all’onore nell’agire di una carica pubblica. Mi rassicuri pertanto che nella disgraziatissima mancata elezione al suo secondo mandato non intenda scatenare la prima guerra civile di Liguria.