29 ottobre 2024
Appunti sugli orsi in Trentino
IN TRENTINO SI VOTA CONTRO L’ORSO
LA RIVOLTA CONTRO L’ORSO IN TRENTINO È INDICE DI UN FOSSATO SEMPRE PIÙ LARGO TRA LA POPOLAZIONE E LE ISTITUZIONI. E DICIAMOCELO, NOI DEI GIORNALI: ANCHE TRA IL CIRCO MEDIATICO E LA REALTÀ
Il 27 ottobre la Val di Sole andrà alle urne per una consultazione popolare contro l’orso. È la prima volta in 25 anni che i residenti possono dire la loro. La paura, la rabbia, la frustrazione dei residenti sono ormai profonde e stratificate. La politica è accusata di inconcludenza. I media di non averci capito niente. Intanto, per evitare danni di immagine, il governatore trentino Fugatti si affida alla Comin&Partners. La stessa società che aiutò Fedez dopo lo scandalo Pandoro
di Jacopo Strapparava
C’è aria di rivolta, in Trentino.
L’opinione pubblica nazionale non ha mai capito fino in fondo il dibattito attorno al ripopolamento dell’orso bruno. A Roma e a Milano la vedono come una questione folklorista. Su cui fare battute. “L’orso in Trentino”, quasi un fumetto. Non si sono resi conto che la morte di Andrea Papi, sbranato da una femmina su un fianco del monte Peller, in val Sole, il 5 aprile dell’anno scorso, ha innescato dinamiche impossibili da fermare. Come le tessere del domino, che cadono una alla volta e alla fine viene giù tutto.
La prima a muoversi sarà proprio la Val di Sole, dove viveva il povero Andrea. Domenica prossima, 27 ottobre, gli abitanti dei tredici comuni della valle andranno alle urne. Sulla scheda, questo quesito: “Ritieni che la presenza di orsi e lupi in zone densamente antropizzate come la Val di Sole, la val di Pejo e la val di Rabbi sia un pericolo per la sicurezza, un danno per l’economia e per la salvaguardia di usi, costumi e tradizioni locali?”. Sarà un referendum puramente consultivo – benché fatto con seggi, schede e scrutatori, con tutti i crismi della legge – perché gli orsi sono formalmente una specie protetta, e le regole su gestione, tutela e abbattimenti sono distribuite in una catena decisionale frammentata tra Trento, Roma e Bruxelles. Ma sarà un referendum dall’importanza simbolica immensa, visto che, per la prima volta da venticinque anni, saranno i residenti a far sentire la loro voce.
Il voto di domenica è un successo del Comitato “Insieme per Andrea Papi”, gruppo di volontari nato dopo i fatti dell’anno scorso, che è riuscito a far leva su una leggina locale finora mai utilizzata e che prevede, su richiesta di almeno 1.000 abitanti, la possibilità di indire una consultazione popolare. A fine luglio i volontari hanno battuto la valle paese per paese, con banchetti e moduli per le firme. In quattro giorni ne hanno raccolte 6.173. Numeri incredibili, se si considera che i tredici comuni della valle contano appena 15.470 abitanti, neonati compresi. Numeri che dovrebbero far riflettere le classi dirigenti, visto che lassù, alle ultime elezioni, le otto liste del centrodestra si sono fermate a 4.767 voti, le sette liste del centrosinistra soltanto a 2.677.
La notizia ha avuto un’eco fortissima. Comitati no-orso sono nati spontanei un po’ ovunque. In Val di Non, sono state raccolte 9.060 firme (su 38 mila abitanti). Nelle Giudicarie, dove lo Statuto locale non prevede l’istituto della raccolta firme, ne hanno raccolte lo stesso 9.731 (su 37 mila abitanti) e stanno riformando lo Statuto, tanto è forte la voglia di votare. Nella Valle dei Laghi, dove negli ultimi due mesi si sono registrati tre casi di incidenti auto-orso, la raccolta firme è partita in questi giorni.
“Si parla tanto di astensionismo. Questa la riprova che quando un argomento interessa, la partecipazione c’è” dice Pierantonio Cristoforetti, ex sindaco di Malé, val di Sole, presidente di “Insieme per Andrea Papi”. “La situazione è deteriorata. Gli orsi sono troppi. L’area in cui sono delimitati troppo ristretta. Gli incidenti saranno sempre più frequenti. È un fatto inevitabile. Matematico. È oltre un anno che lo stiamo dicendo”.
Prese in contropiede, otto associazioni animaliste – tra cui Enpa, Lipu, Lav, Legambiente e Wwf – hanno diramato ai giornali una nota congiunta. “Questo referendum è una farsa”. “Con che criterio la Comunità di Valle spende soldi pubblici su un tema per cui non ha competenze?” “Meglio investire su strumenti e pratiche che favoriscano la convivenza tra uomo e grandi carnivori”. Ma “convivenza”, nelle valli del Trentino, è una parola che non si può utilizzare quasi più.
Sono in pochi, a Roma e a Milano, ad aver capito che negli anni Novanta gli orsi autoctoni rimasti in Trentino erano due o tre, con l’ultima riproduzione accertata nel 1989, e che quelli attuali discendono tutti da un gruppo di esemplari importati dalla Slovenia. Il primo fu Masun, maschio, tra i 3 e i 5 anni, catturato nella riserva Jelen Monte Nevoso, liberato nel maggio 1999 sul gruppo Brenta, in una località mai resa nota. Nel giro di tre anni furono reintrodotti: Kirka, Daniza, Joze, Irma, Jurka, Vida, Gasper, Brenta, Maya. Dieci, in totale. Il numero considerato minimo per ricostituire “in un tempo di 20-40 anni” una popolazione di “40-50 individui, in grado di garantire il ripopolamento”. Peccato che le cose non siano andate come previsto. A fine 2008 la popolazione di orsi era stimata in almeno 24 esemplari, grazie a 16 nascite documentate tra il 2002 e il 2008. Nel 2021 le stime parlavano di un minimo di 73 e un massimo di 92 esemplari. L’anno scorso, stando agli ultimi dati disponibili, gli orsi erano tra 86 e 120, con 13 nuove cucciolate e 22 nuovi cuccioli.
Ma non è solo il numero, il problema. Sono in pochi, a Roma e a Milano, ad aver capito che la questione si gioca sul sesso degli orsi, e sulla loro distribuzione. I maschi sanno fare anche cento chilometri al giorno, ormai si muovono su un’area di 40.000 chilometri quadrati che va dal Trentino alla Baviera, dalle Prealpi Carniche alla provincia di Sondrio. Le femmine, invece, dove nascono, rimangono. Sono più pericolose, per via dei cuccioli. Stanno tutte in una zona di 2.227 chilometri quadrati. Una zona che coincide con le valli del Trentino occidentale. Dove la presenza umana è diffusa e capillare.
Ogni giorno, nell’areale delle femmine, si ha notizia di avvistamenti, tracce, fatte, predazioni. Allevatori che si ritrovano con le bestie sbranate. Boscaioli che hanno paura ad andare a far legna. Vecchiette che temono di rimetterci la pelle solo per andare a funghi. Ragazzi che filmano l’orso e lo caricano su YouTube. Solo nel 2023, secondo gli ultimi dati disponibili, la collettività ha dovuto risarcire 201 casi di “danni da orso”: si parla di 33 pecore e capre, 12 tra cavalli e asini, 11 vacche – ed è sicuramente un elenco incompleto. Ma soprattutto, gli uomini: solo nel 2023 si sono registrati 9 orsi investiti da auto e tre attacchi all’uomo, di cui uno mortale.
E qui veniamo alla parte della storia che hanno sentito tutti, persino a Roma e a Milano. La storia di Jj4, quarta figlia di Jurka e Joze. Nata nel 2006. Femmina. “Particolarmente protettiva quando accompagnata dalla prole”, dicono i soliti documenti ufficiali. Già il 22 giugno 2020 aveva aggredito e ferito due persone, la Provincia di Trento aveva emesso un’ordinanza di rimozione, ma gli animalisti fecero ricorso, la giustizia amministrativa bloccò ogni cosa. L’allora ministro dell’Ambiente Sergio Costa – grillino, ambientalista, ex carabiniere – si prese a cuore personalmente la sorte dell’animale, diffidò il Trentino dall’abbatterlo, già che c’era la ribattezzò “Gaia”, “come la Madre Terra” (oggi questo signore è vicepresidente della Camera dei Deputati). Il 22 giugno 2022, accompagnata da una nuova cucciolata, Jj4 ormai nota come “Gaia”, attaccò un ciclista sul monte Peller, il poveretto si salvò facendosi scudo con la sua mountain bike. Quindi, il 5 aprile 2023, a non troppi chilometri di distanza, lo scoppio della bomba atomica.
Andrea Papi, 26 anni, di Caldes, val di Sole, laureato in Scienze motorie, andato a correre per diporto sulla montagna sopra casa. Se la trovò di fronte all’improvviso, svoltato un tornante. Lei era accompagnata da tre cuccioli di 14 mesi. Lui provò a scappare, tagliò una curva, fu tutto inutile. Andrea fu aggredito, scagliato in una scarpata a margine della strada: i soccorritori trovarono un bastone insanguinato, con cui aveva provato a difendersi. Il corpo fu rinvenuto ancora più in basso, in corrispondenza di due tronchi. Trascinato per decine di metri, martoriato da graffi e ferite. Erano 172 anni, in Italia, che l’aggressione di un orso all’uomo non aveva esiti mortali.
Il giorno dei funerali, migliaia di persone affluirono a Caldes, la piccola chiesa del paese non riuscì a contenerli tutti. Clima durissimo. Persino il parroco, don Renato Pellegrini, nell’omelia usò tre volte la parola “rabbia” e soltanto una la parola “perdono”. Carlo Papi, padre di Andrea, salì sul pulpito: “Se qualcuno ha fatto degli errori, per cortesia, faccia un passo indietro e dica mea culpa. Riportiamo le cose a come devono essere. Andrea deve avere giustizia”. La signora Franca, madre di Andrea, non se la sentì di parlare. Affidò una lettera ai suoi avvocati: “Come madre non posso accettare una morte così orribile. La gestione di questo progetto è diventata sempre più incauta e inadeguata: non ha tenuto conto della crescita del numero di orsi rispetto al territorio”. Poi rivolse un appello direttamente a Giorgia Meloni. “Mi auguro che il governo, lo Stato, la presidente del Consiglio ci aiutino e raccolgano l’urlo di dolore di una madre”. Il silenzio, in chiesa, fu squarciato dagli applausi.
“Non posso negare di essermi sentito addosso gli occhi di tanti” ha raccontato nelle sue memorie, pubblicate l’anno scorso a ridosso delle elezioni, il presidente della Provincia Maurizio Fugatti. Le cronache raccontano che il governatore, sul sagrato, si lasciò andare a un respiro caricò di commozione. Si incamminò verso il cimitero in silenzio, seguendo la folla. Ai giornalisti che gli chiedevano un commento, rispose: “Non ora. Non oggi. Questo è il momento del lutto”.
“Ho provato un sentimento di impotenza” scrive ancora Fugatti nel suo libro. “Sono stati il Tar e il Consiglio di Stato a bloccarci. Noi abbiamo fatto tutto quello che la legge ci permetteva”. Tutte cose vere. Tutte cose che, alla gente delle valli, non bastano più. Tra gli abitanti la paura, la frustrazione e la rabbia sono profonde e stratificate. Spesso si innestano sul dubbio latente di vivere in un mondo ormai in declino, in valli che si spopolano, soggetti a interessi troppo più grandi di loro, a mutamenti antropologici troppo forti da contrastare. “Sembra una storia banale, rispetto a quelle che arrivano da Ucraina e Medio Oriente. Ma anche qui, nella testa delle persone, si vive uno stato di guerra” ha detto Andreas Pichler, regista del documentario “Pericolosamente vicini”, che ricostruisce tutta la vicenda. “È come con gli indiani d’America” abbiamo sentito dire una volta nel bar di Caldes. “Solo che questa volta gli indiani siamo noi”.
Per contro, gli animalisti, pur con una capacità di mobilitazione molto ridotta, sono meglio strutturati, meglio organizzati e meglio finanziati. Hanno addetti stampa, consulenti, avvocati. Hanno una capacità superiore di influenzare i centri che determinano la formazione dell’opinione pubblica. La fanno da padrone sui giornali, sulle tivù, sui social, perfino nei tribunali. Mentre l’agricoltore della Val di Non, se l’orso si mangia i grappoli del suo vigneto, non fa ricorso al Tar. L’allevatore delle Giudicarie, se l’orso gli sbrana una manza, non manda un comunicato al Corriere della Sera.
Si va scavando un solco sempre più profondo tra la gente e le istituzioni. La politica è accusata di inconcludenza. I media di non averci capito niente. I tecnici di aver reintrodotto un animale pericoloso, senza curarsi delle conseguenze. “Questo è un fallimento gravissimo della giustizia italiana” spiega Carlo Papi tutte le volte che può. “La mia famiglia ha vissuto una tragedia vergognosa, che non potremo perdonare né oggi né mai”.
Anche Fugatti – che pure è sempre riuscito a presentarsi come paladino dei trentini contro gli orsi, tanto che per questa storia ha ricevuto minacce di morte e da tre anni vive sotto scorta – non è esente da critiche. “Non è un mistero che non siamo ancora riusciti a fare quanto ci eravamo prefissati” dice lui nel suo libro. “Da quando sono arrivato alla presidenza della Provincia ho capito ancora meglio quante difficoltà ci siano e quante ne abbiano avute i miei predecessori”. “Stiamo dialogando con Roma, abbiamo incontrato più volte il ministro Pichetto Fratin per avere una gestione più autonoma”. “Se il progetto Life Ursus fosse nato con la possibilità di un’azione locale sin dall’inizio non saremmo arrivati a questo punto”.
E però ci sono anche altre accuse. “La Lega ha cavalcato questa storia per anni, ora vuole mettere tutto a tacere”. Quest’anno, la Provincia di Trento ha tolto la comunicazione sul tema al proprio potente ufficio stampa, e l’ha affidata alla Comin&Partners, società di consulenza con sedi a Roma e a Milano, specializzata in crisi di reputazione – la stessa, per intenderci, cui chiese aiuto Fedez dopo lo scandalo Pandoro. Ed ha fatto scalpore il fatto che Roberto Failoni – titolare dell’albergo di Pinzolo dove va in vacanza Matteo Salvini d’estate, nella giunta provinciale assessore al Turismo e ai Grandi Carnivori – a metà settembre sia stato contestato a Sopramonte, sul monte Bondone, frazione di Trento. Il borgo dove, nell’aprile di quest’anno, un orso ha sbranato l’asinello Olmo, mascotte del paese. A due passi dal parco giochi. Al Comitato “Insieme per Andrea Papi” non sono piaciute le voci secondo cui Piero Genovesi, uno degli autori dello studio di fattibilità del progetto Life Ursus, fosse tra i papabili per diventare direttore del Muse, il Museo della scienza di Trento. “È un insulto a tutti i trentini” (alla fine il nuovo direttore del museo sarà Massimo Bernardi, 40 anni, che quando fu reintrodotto l’orso era ancora un ragazzino). E ha sollevato una vera indignazione l’annuncio, dato della Lega in un comunicato del 20 settembre, che ai banchetti per la raccolta delle firme in sostegno a Salvini sotto processo per il caso Open Arms, si poteva aderire anche alla raccolta firme “ufficiale” contro l’orso. “Ma quale raccolta ‘ufficiale’. Questi vogliono metterci su il cappello”.
Persino nel Pd si sono resi conto che, per come si sono messe le cose, su questo tema Fugatti può giocarsi parte del suo consenso. Il 1° agosto i dirigenti della sinistra locale hanno organizzato una conferenza stampa a Pellizzano, Val di Sole, per illustrare “le proposte del Pd per la gestione dell’orso”, senza peraltro sortire nessun risultato. Anche quando la voglia di protesta è fortissima, la crisi di rappresentanza rimane. Basta prendere in mano ancora una volta i risultati delle ultime elezioni provinciali. In tutta la val di Sole – 15.470 abitanti, neonati compresi – il Pd ha racimolato appena 691 voti. In val di Non, 1.542. Nelle Giudicarie, 2.253. Nella Valle dei Laghi, 770. “In alcune aree facciamo fatica a trovare candidati” ha ammesso un autorevole esponente della sinistra locale in una riunione interna il 10 agosto. “Probabilmente in questi anni non abbiamo seminato abbastanza”.