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 2024  ottobre 29 Martedì calendario

Il caso degli operai di Montblanc a Firenze

«Non siamo usa e getta». C’è tutta la disperazione di chi rischia di perdere il lavoro nello slogan scelto dagli operai di Campi Bisenzio, dipendenti di due ditte cinesi che realizzavano borse per Montblanc. Immigrati di origine asiatica che chiedono di poter continuare a fare il loro mestiere in condizioni dignitose. Sono tornati in piazza venerdì e sabato scorso: una mobilitazione che si è spostata dai capannoni industriali alle vie del centro dove ha sede la boutique che accanto alle storiche penne vende borse e altri oggetti di pelletteria. A Firenze gli operai, quasi tutti pachistani e afghani, hanno montato le tende sul modello protesta milanese degli studenti contro il caro-affitto, mentre presidi sono stati organizzati davanti ai negozi di Milano, in galleria Vittorio Emanuele, e a quelli di Napoli, Roma, Bologna e Verona. La protesta è stata sostenuta dalla campagna internazionale “Abiti Puliti” promossa da organizzazioni sindacali, associazioni e collettivi che denunciano lo sfruttamento nel dorato mondo della moda. Sciopero e attestazioni di solidarietà in una quarantina di altre aziende del distretto fiorentino e, fuori dall’Italia, a Ginevra, Basilea, Zurigo, Berlino e Lione dove Montblanc ha altre sedi.
«Eccellenze del made in Italy? Semmai “Shame in Italy”, ovvero la vergogna di operai pagati tre euro l’ora per turni di dodici ore al giorno che producono borse da 1.700 euro» denuncia il sindacato Sudd Cobas che da sei anni porta avanti una battaglia per dare diritti a questi lavoratori stranieri, schiavizzati da ditte cinesi, che lavorano in appalto per le griffe. «È l’ora di fare uscire dall’insivisibilità lo sfruttamento che caratterizza il settore della moda. Il distretto dell’abbigliamento, concentrato a Prato, produce soprattutto “fast fashion” mentre quello della pelletteria, in provincia di Firenze, lavora per i grandi brand del lusso. Entrambi sfruttano operai pachistani, cinesi, afghani, africani che in queste filiere ci lavorano da anni senza diritti» spiega il giovane e battagliero coordinatore di Sudd Cobas Luca Toscano.
Il sindacato chiede alla Regione di convocare al tavolo il gruppo Richemont, proprietario del marchio Montblanc (e di altri campioni del lusso da Cartier a Panerai), in merito alla vicenda del taglio e del successivo azzeramento delle commesse alle ditte cinesi. Una scelta dettata non da motivazioni di carattere produttivo ma da una ritorsione rispetto alla mobilitazione sindacale avviata nel 2023 per chiedere salari e orari equi. La procedura scade il 24 novembre e a rischio licenziamento ci sono una settantina di lavoratori (molti in realtà si sono già ricollocati per poter sopravvivere) di due realtà, la Z Production, pelletteria a conduzione cinese alle porte di Firenze e Eurotaglio, azienda in subappalto creata ad hoc e operativa nello stesso stabilimento. Qui gli operai erano costretti a lavorare tra le dodici e le quattordici ore al giorno per una misera paga di tre euro l’ora. Impossibile, dicono i Cobas, che la maison svizzera non sapesse nulla. «Si tratta di due realtà nate appositamente per lavorare con Montblanc non di fornitori casuali e già commissariate» spiega Toscano.
Un anno e mezzo fa la svolta: i lavoratori si uniscono al movimento 8x5 e con un accordo sindacale conquistano i diritti stabiliti dal contratto nazionale: vengono regolarizzati e iniziano ad usufruire di ferie, malattia e di un’indennità di mensa. Il lieto fine però in questo caso non arriva: diventate più costose per effetto della regolarizzazione, le commesse affidate alla Z Production, vengono tagliate e trasferite altrove. «Non si tratta di una crisi di mercato – sottolinea Sudd Cobas – ma di una delocalizzazione in loco: gli ordini vengono spostati verso altre realtà dove lo sfruttamento dei lavoratori continua». Tutto per un aumento del costo vivo di 30 euro: da 70 a 100 euro per una borsa che poi viene venduta ad almeno 1700 euro. «Purtroppo si tratta di un sistema generalizzato, i consumatori devono capire che un prezzo di vendita elevato non è sinonimo di lavoratori non sfruttati anzi, le aziende cercano di risparmiare il più possibile sui costi di produzione» aggiunge ancora Toscano. «Quello che ci ha colpito è in questo caso la scelta di spostare la produzione in altre realtà, le borse infatti per politica aziendale sono “made in Firenze”, per continuare a spendere meno. Di solito le aziende in questi casi regolarizzano i lavoratori». Il distretto toscano della moda attira ormai da anni lavoratori, soprattutto pachistani. «Sanno che venendo qui trovano lavoro in un giorno, e possono lavorare anche sette giorni su sette. Dalla moda poi questo modello si è spostato in altri ambiti: il capannone della Z Production è a fianco di quello di Mondo Convenienza dove c’è stata un’analoga protesta dei lavoratori per i diritti» conclude il coordinatore del Sudd Cobas. La richiesta è semplice: Montblanc deve garantire una ricollocazione nella sua filiera con contratti regolari nel rispetto del Ccnl vigente ai settanta operai.
Montblanc, fondata in Germania ai primi del Novecento e specializzata in penne di lusso, produce da tempo anche pelletteria e appartiene al gruppo svizzero Richemont, uno dei giganti del lusso mondiale specializzato in gioielli, orologi e accessori di moda con un fatturato di oltre 20 miliardi di euro e un utile operativo di quasi cinque miliardi nel 2024. In merito alla spinosa vicenda ha rilasciato solo una dichiarazione sostenendo di aver interrotto il rapporto con le due ditte perché non rispettavano il codice etico del gruppo.