Corriere della Sera, 29 ottobre 2024
Astronauti si preparano sotto il san Gottardo
Provate voi a stare chiusi sottoterra per quindici giorni, simulando di vivere in una base sulla Luna o su Marte, senza contatti con l’esterno, senza poter fare una passeggiata o vedere la luce del sole, sentire il vento o la natura. Giorno e notte sotto luce artificiale, con altre cinque persone con cui è d’obbligo andare d’accordo. Pietro Innocenzi, 26 anni, una laurea in ingegneria aerospaziale al Politecnico di Milano seguita da magistrale e dottorato all’Imperial College di Londra l’ha fatto. «Un’esperienza che mi ha davvero messo alla prova», ammette, «ma di certo non mi ha fatto passare la voglia di andare sulla Luna o addirittura su Marte». Pietro è stato uno degli astronauti selezionati lo scorso anno per partecipare alla missione Asclepios, progetto frutto di un’associazione studentesca affiliata al Centro spaziale Epfl (il Politecnico di Losanna) che ogni anno, seleziona una decina di giovani provenienti da tutto il mondo per “spedirli” virtualmente nello spazio. Dopo un anno di addestramenti, lezioni con veri astronauti, prove di sopravvivenza in ambienti estremi e test fisici e psicologici durissimi, si arriva alla missione vera e propria: due settimane confinati nei tunnel del San Gottardo per simulare il lavoro di un astronauta, esperimenti scientifici e stress compresi. E scoprire la forza del team: «Non è facile stare sempre insieme alle stesse persone in un posto così chiuso ed isolato, mangiando solo cibo liofilizzato, senza mai farsi una doccia, con ritmi serrati in cui non si dorme più di 5 ore. Ma sarebbe stato ancora più difficile se non fossi stato con loro», dice Pietro. Un po’ scuola per astronauti, un po’ Grande Fratello dello spazio. Federica Torre, project manager di Asclepios IV, che si è concluso quest’estate, e dottoranda al Politecnico di Milano in fisica, spiega come la missione si divida in vari team: scienza, management, design, medicina e astronauti analoghi, che finiscono sotto terra o al centro di controllo esterno, altro ruolo fondamentale.
«Da tre anni il passo di San Gottardo, in Svizzera, ci affitta la base scavata ai tempi della Seconda guerra mondiale, piena zeppa di tunnel e zone più ampie dove possono vivere per due settimane gli astronauti», spiega Torre. Lì sotto fanno una serie di esperimenti che poi trovano applicazioni reali. «Quest’anno, ad esempio, un’azienda americana ci ha fatto testare un rover che vorrebbe mandare su Marte e si sono fatti anche vari esperimenti simulando l’assenza di gravità o condizioni ambientali estreme». Le giornate sono scansionate dal “flight plan”, un piano di volo determinato in ogni minimo dettaglio, dalla colazione al momento di andare a letto. Pietro lo scorso anno era il “science officer” e coordinava i dieci test di medicina spaziale. «Eravamo impegnati anche in molte “Extra-vehicular activity”, simulazioni in cui uscivamo dalla base, con la tuta spaziale, per missioni come costruire un’antenna o ottenere materiali».
La comunicazione con il centro di controllo è costante, ma soltanto con gli “astronauti analoghi” rimasti “a terra”. I ventiquattrenni Luca Sportelli e Davide Scalettari quest’anno ricoprivano proprio quel ruolo, delicatissimo, di raccordo tra il dentro e il fuori.
«Oltre alle lezioni con astronauti del calibro di Sandra Magnus della Nasa, ci siamo addestrati sulle montagne in Andorra, imparato come ci si comporta in condizioni estreme, come si collabora. Un’esperienza fondamentale per poi gestire l’equipaggio della base», spiega Luca, «perché hai avuto lo stesso addestramento e capisci le problematiche in corso, tecniche o psicologiche che siano».
Davide ricorda invece con emozione gli esperimenti in volo nel mezzo delle parabole a gravità zero o le prove sulla neve. «Attività che mi hanno permesso di spingere molto i limiti di quello che pensavo fosse possibile». Pietro, Luca, Davide parlano di un’esperienza dura, che li ha resi più consapevoli del fatto che fare l’astronauta non è solo gloria e spazio, ma anche tanto stress, che bisogna continuare ad allenarsi, arricchire il curriculum non soltanto di studi tecnico-scientifici ma di brevetti da sub, da speleologo, da pilota. Senza contare che, in quanto europei, possono candidarsi solo con l’Esa (la Nasa accetta esclusivamente cittadini Usa), e l’agenzia spaziale europea assume solo dieci astronauti ogni decennio. Ma l’obbiettivo resta immutato. «Sono sicuro che uno di noi di Asclepios, prima o poi, andrà davvero lassù». Come Luca Parmitano, Samantha Cristoforetti, Paolo Nespoli. Luna o Marte? La risposta la dà il tempo.
«Bisogna essere dei veri esperti della Luna prima di pensare di andare oltre», risponde Luca. E Pietro, che lavora all’aerodinamica di veicolo che atterrano su Marte, è d’accordo: «È troppo presto per pensare di spedire umani su Marte, anche se SpaceX sta facendo grandi progressi per portarci fin là. Sono anche viaggi diversi: sulla Luna ci si arriva in quattro giorni, per Marte ci vogliono sei mesi-un anno a seconda della traiettoria. Io? Partirei per entrambi».