Corriere della Sera, 29 ottobre 2024
Intervista ad Albano
Al Bano Carrisi, da dove sta rispondendo al telefono?
«Da Zagabria, a casa di mia figlia Cristel che vive qui con la famiglia. Ho quattro nipoti, tre di loro stanno qui. Ma lo sa che questi bambini parlano quattro lingue?»
Quali?
«Italiano, inglese, croato e spagnolo. Una volta al mese io parto e sto con loro».
Nei Paesi dell’Europa orientale lei è una celebrità.
«Polonia, Paesi Baltici, Bulgaria. E quando in Romania cadde il comunismo di Ceaucescu per le strade di Bucarest cantavano la mia Libertà».
Non la sua canzone più famosa.
«Ma evidentemente quella più “impegnata” perché in numerosi Paesi dell’America Latina non la passano».
La censurano?
«Non la fanno circolare e quando un brano così popolare in tutto il mondo non circola è perché dà fastidio».
Altre censure?
«In Spagna, al tempo di Franco, non passavano la mia 13, Storia d’oggi»
Forse perché il testo recita «il soldato fa la guerra/ e il motivo non lo sa»?
«Molte mie canzoni hanno assunto colore politico».
Il sole dentro è la sua autobiografia, da oggi in libreria per Mondadori. Un ricordo della sua infanzia?
«Quando vidi mio padre per la prima volta. Avevo due anni e lui tornava dalla guerra. Mi ci volle un po’ per abituarmi a chiamarlo “papà”».
Se le dico «Puglia» che cosa le viene in mente?
«Casa. Sapesse quante volte mi hanno proposto di trasferirmi all’estero. Stati Uniti, Parigi, Monte Carlo. Ma io ho investito tanto nella mia terra e sa qual è l’unico rammarico?»
Quale?
«A Cellino San Marco, negli anni, ho fatto venire centinaia di giornalisti da tutto il mondo. Cinesi, russi, coreani. Gli facevo scoprire la Puglia e in cambio chiedevo solo che lasciassero la propria firma nella cantina. Un giorno mio fratello senza dirmi niente fece pulire i locali e così puf! tutto sparito, cancellate le firme».
Nessun altro rammarico?
«No. Certo, se avessi investito a Milano tutto quello che ho investito in Puglia oggi sarei più o meno come Elon Musk, visti i prezzi delle case».
Le piace Musk?
«Lui è un genio ma io non sopporto chi spende miliardi per andare su Marte, quando qui, sulla Terra, ci sarebbe tanto da fare. Potremmo sfamare un continente, potremmo evitare che migliaia di persone attraversino i mari».
Milano nei suoi ricordi?
«Era il 1961, si parlava di boom economico, ma io feci la fame. Ero pronto a fare di tutto e così avvenne».
Il primo incontro?
«Non ridete: mi misi a cercare un convento, pensavo che mi avrebbero accolto senza riserve. Modugno, a Roma, aveva fatto così. Ma andò diversamente: venne ad aprirmi un frate. Gentilmente mi disse che il suo ordine non permetteva ospiti. Ma come, dissi, a Cellino se arriva qualcuno dalle campagne come minimo gli si dà da mangiare!».
Come ha campato a Milano nei primi anni?
«Ho fatto l’imbianchino, ma non mi pagavano. Per un mese ho vissuto in un cantiere in costruzione al Giambellino, usando sacchi di cemento vuoti per chiudere le finestre e un’asse di legno come porta. Quando trovai posto come cameriere, nelle lettere a mia madre non scrissi mai che mestiere facevo: ai suoi occhi servire a tavola era una cosa da donne».
Poi fece l’operaio metalmeccanico.
«Alla Innocenti. Peccato che con la crisi dell’automobile finii in cassa integrazione. Per fortuna mi ero già avvicinato al clan Celentano».
Se le dico «Celentano», invece, che cosa le viene in mente così, senza pensarci?
«Che vorrei rivederlo».
Anche lei, come Teocoli?
«Sì, forse a questo punto della mia vita, tra i grandi desideri che ho c’è quello di rivedere Adriano. Di persona, certo, ma anche sul palco, a cantare o a parlare. L’Italia non si è ancora resa conto di quello che Celentano ha rappresentato per la nostra cultura».
Sessant’anni fa, nel 1964, il suo primo disco.
«E fu anche la prima volta che andai all’estero. Svizzera. Strabuzzai gli occhi davanti alla tavola della colazione: mai visto prima servire pane, burro e marmellata».
Il disco, inciso con il Clan, era un 45 giri, La strada/Devo dirti di no.
«Il secondo era un blues di quelli tosti e in inglese. Non parlavo una parola di inglese, studiai come un matto».
Se le dico «papa Francesco», che cosa le viene in mente?
«Un Papa straordinario, lo conosco bene. Quando mi ricoverarono d’urgenza in ospedale a Roma per un problema al cuore, io avevo in testa una cosa sola: giorni dopo avrei dovuto cantare davanti al Papa. I medici erano contrari, ma io dissi: “Se devo morire, meglio morire davanti al Papa che in ospedale”».
E Ratzinger?
«Grande pontefice, ma non amava la musica leggera».
Lei ha conosciuto Madre Teresa.
«Non solo. Ha tenuto a battesimo mia figlia Cristel».
Ed è amico del premio Nobel Muhammad Yunus.
«L’attuale presidente del Bangladesh. Si capisce che tifo per la pace a tutti i costi?»
Troppe guerre.
«Troppo dolore in tutto il mondo. Ma quando si tratta di trovare i soldi per le armi, tutti sono pronti».
Lei ha conosciuto Putin.
«Molto bene, ho cantato davanti a lui tante volte. Posso dire che è il più occidentale di tutti i russi, penso che sia stato mal consigliato».
La folla più folla che abbia mai assistito a un suo concerto?
«Una volta in Cina erano collegate 180 milioni di persone».
Ormai la sua Puglia è un brand. Helen Mirren, Madonna...
«Ah, sa che ho rischiato di diventare consuocero di Madonna?»
In che modo?
«Una volta ero a una festa dove c’era anche lei e la sua famiglia. Uno dei figli adottivi di Madonna cominciò a interessarsi a mia figlia Jasmine. Ma poi il ragazzo ripartì per gli Stati Uniti e mia figlia restò qui. Ragazzate».
Lei è davvero così possessivo come l’hanno dipinta?
«Ma no, sono un uomo con valori tradizionali. Non è vero che fui io a insistere con Romina Power per trasferirci a Cellino, fu lei a volerlo».
L’ultima volta che ha visto Romina?
«Venti giorni fa, abbiamo cantato assieme».
E se le dico «Loredana Lecciso» che cosa le viene in mente?
«Una brava donna».
Solo?
«Una madre attenta, una che pensa ai figli, forse una che per un periodo ha dato troppa importanza alla televisione, ma che ora ha un modo di fare molto più riservato».
Nel 1992 fece causa a Michael Jackson per plagio.
«In tribunale ci accordammo, avremmo dovuto fare un concerto insieme per beneficenza ma morì prima. Di lui, però, ho un ricordo indelebile: in una intervista al Corriere della Sera mi chiamò “Il maestro Al Bano”. Era un uomo gentile».
Un grande dolore: Ylenia Carrisi, scomparsa a New Orleans nel 1993.
«Le parlai al telefono per l’ultima volta il 1° gennaio 1994. A New Orleans era ancora il 31 dicembre. Poi più nulla. Di questa storia ho parlato tante volte, qui però vorrei ringraziare le migliaia e migliaia di messaggi di affetto e sostegno che ho ricevuto in questi trent’anni. Ne ricordo uno su tutti: quando, con la mia famiglia, andammo in Louisiana per capire che cosa fosse successo, mi telefonò Sophia Loren. Mi disse: “Se hai bisogno di me, farò di tutto per aiutarti”».
Felicità, il suo più grande successo.
«E anche del maestro Minellono, lo scriva perché non se ne ricordano mai. La cantano milioni di persone nel mondo. Ecco, se adesso incontrassi Fedez vorrei chiedergli perché è andato a Sanremo a cantarla con quella faccia così triste».