Corriere della Sera, 29 ottobre 2024
Il wrestler e il comico razzista al Trump show
New York – Ai comizi di Trump trovi sempre il teatro, l’intrattenimento da una parte e dall’altra gli operatori politici, gli ideologi: entrambe sono facce importanti nel definire chi e che cosa significa essere americano nell’universo trumpiano. E la presenza degli alleati che prendono la parola prima di lui sul palco mostra «chi sale e chi scende» in questo universo. Come a Madison Square Garden: per un’ora e 16 minuti ha parlato Trump ma una galassia di personaggi (e non solo i noti Elon Musk, J.D.Vance, Robert F. Kennedy jr, Melania o i figli di Donald) hanno sfilato nello show di 5 ore e 42 minuti.
C’era il wrestler Hulk Hogan, all’anagrafe Terry Bollea (il nonno nacque a Cigliano, in provincia di Vercelli), settantunenne con i muscoli in mostra, bandana e occhiali da sole avvolgenti, boa di piume al collo, che entra sventolando la bandiera americana sulle note di «Real American». Si strappa la maglietta rivelando il logo Trump-Vance e proclama tuonando che i Trumpmaniacs, i maniaci di Trump, sono «la forza più grande dell’universo». Il «pro wrestling» è una montatura, una soap opera per maschi, ma anche un confortante avatar della supremazia americana. C’era Alina Habba, l’avvocata di Trump che ha perso il caso per frode rappresentando la Trump Organization ma entra ballando sulle note di «All I Do is Win», sexy in rosso e paillette con la scritta «Make America Great Again» sulla giacca. C’era il pittore Scott LoBaido, che mostra il dito medio alla folla (che lo applaude) e rivela un quadro di Trump che abbraccia l’Empire State Building. E c’era lo psicologo Dr. Phil per spiegare che in realtà Trump è vittima di bullismo.
Non tutto va sempre secondo i piani. «Dove sono i miei fieri Latinos stasera?» ha esordito il comico Tony Hunchcliffe dal palco del Garden, ricevendo un grido entusiasta. Ma poi: «Questi latinos adorano fare bambini. Sappiatelo. Non se ne esce. No, vengono dentro. Proprio come hanno fatto col nostro Paese». E un minuto dopo: «C’è letteralmente un’isola galleggiante di spazzatura nel mezzo dell’oceano. Penso che si chiami Porto Rico». Il giorno dopo la campagna di Trump, che corteggia fortemente gli elettori ispanici, ha preso le distanze dopo le critiche: «Questa battuta non riflette le opinioni del presidente Trump».
Poi verso la chiusura arrivano l’ex presentatore di Fox News, Tucker Carlson, che dichiara che la leadership degli Stati Uniti «disprezza gli americani, i loro valori, la loro cultura, al punto da cercare di rimpiazzarli» mentre Trump li ama e li accetta; e Stephen Miller, che ha influenzato la politica sull’immigrazione di Trump e dice «L’America è per gli americani e solo per gli americani». Altre figure meno note si preparano a gestire la transizione alla Casa Bianca: Brooke Rollins, co-fondatrice del think tank America First Policy Institute, si è descritta sul palco come una ex ragazzina cresciuta dalla madre single in un paesino texano. Il suo istituto ha soppiantato gli altri think tank conservatori di Washington nelle preferenze di Trump e la sua modestia nasconde che potrebbe diventare il capo dello staff della Casa Bianca.