Corriere della Sera, 29 ottobre 2024
L’autostima di Renzi
Senatore Renzi, da questa nuova inchiesta sui dossieraggi emerge che lei è stato spiato per l’ennesima volta…
«E spero che sia l’ultima. Ma il sentimento di amarezza e di dolore per ciò che continua a subire la mia famiglia, in questa circostanza, è accompagnato dalla preoccupazione per i cittadini. Io ho fatto il callo a questa invasione costante e criminale della mia privacy. Ma mi domando: un cittadino come può avere fiducia nelle istituzioni quando capisce che può essere spiato così facilmente?».
Lei non è più premier da 8 anni e non ha più le leve di potere di un tempo. Si è chiesto perché è ancora nel mirino?
«C’è un elemento soggettivo personale. Comunque sia, anche dopo avere perso consenso e potere, ho giocato un ruolo chiave nella vita politica del Paese. L’esempio più evidente è aver mandato a casa Conte per portare Draghi a Palazzo Chigi, pur avendo solo il 2% dei voti. Ma c’è anche un altro fattore: certi addetti ai lavori capiscono che il mio 2-3% può essere ancora decisivo. E poi sono quello che da premier ha cercato di regolare e disciplinare questo settore. Taluni non apprezzarono, per usare un eufemismo».
Crede che l’abbiano spiata per la sua attività professionale fuori dal Parlamento, che la porta ad avere rapporti con grandi player internazionali, alcuni dei quali discussi, o per la sua attività politica?
«Ormai vivo con serenità il fatto di essere più apprezzato all’estero che in Italia. È per il lavoro che ho fatto da premier che le istituzioni estere mi chiedono di sedere negli advisory board di tutto il mondo; mentre quelle italiane mi spiano illegalmente. Sono l’unico italiano che ha letto il proprio estratto conto in edicola, sui giornali, anziché in banca. La mia serenità non mi impedirà però di chiedere risarcimenti danni in tutte le sedi».
Dalle carte emerge questa intercettazione: «Questi sono pazzi, stanno controllando Renzi. Quello poi reagisce».
«A occhio c’è ancora qualcuno che si vuole vendicare. Però quello che deve essere chiaro è che non bisogna fare le vittime, bensì rispondere con le armi del diritto. Quando sapevo di essere dalla parte della ragione ho fatto ricorso ovunque e ho vinto, specie contro i pm. Io non piango, reagisco in tribunale. Ma ripeto che la mia preoccupazione è per quei cittadini normali che vengono spiati e non hanno i miei stessi strumenti per difendersi».
Dalle carte emerge che anche un esponente di Forza Italia avrebbe chiesto report a quest’azienda che spiava. C’è una matrice politica?
«Tradirei il mio naturale garantismo se attribuissi responsabilità a Forza Italia o altri. Io non so chi è il “mandante” di questo criminale mercato di informazioni. Il colpevole verrà individuato dai giudici. Ma la responsabilità politica di questo scandalo è della premier Meloni e del sottosegretario Mantovano».
Lei conosce Pazzali e l’ex superpoliziotto Gallo?
«Alcuni degli indagati credo avessero collaborato con il mio governo».
Cosa dovrebbe fare l’esecutivo per ripristinare la legalità e il controllo?
«Far funzionare l’Agenzia per la cybersicurezza, al cui vertice servono persone capaci: dico basta a mettere gli amici degli amici in ruoli così strategici. Evidentemente non sono abbastanza le sortite folkloristiche del nuovo ministro della Cultura o le nomine poco chiare come quelle al vertice di Ales. Quando l’amichettismo arriva a mettere a repentaglio i diritti costituzionali dei cittadini deve scattare un allarme».
Eppure l’Autorità delegata per la Sicurezza nazionale è il sottosegretario Mantovano, ex magistrato e politico navigato. Mentre all’Agenzia per la cybersicurezza c’è un prefetto come Bruno Frattasi. I curriculum di rilievo ci sono, quindi cosa non funziona?
«È evidente che non ci sono le capacità tecniche necessarie per gestire una materia vitale come la nostra sicurezza e la nostra privacy. Frattasi è un prefetto, di cosa parliamo?».
Lei tentò di creare un’Agenzia per la sicurezza, come costola di Palazzo Chigi. A guidarla voleva il suo amico Marco Carrai. Perché il suo progetto non andò in porto?
«Io volevo fare un’altra operazione. Dopo la tragedia del Bataclan avevo messo in piedi questo schema: “1 euro in sicurezza e 1 euro in cultura”. Si creò così un budget da 150 milioni, che affidai ai Servizi. A guidare questa struttura proposi di mettere dei tecnici, incluso Carrai. Non andò in porto perché vi furono polemiche ad personam su Marco. Ma Carrai o non Carrai la questione è semplice: servono quelli bravi, non i burocrati».
La premier Meloni, in questi dossieraggi, ravvisa il reato di eversione. È d’accordo?
«Io ravviso l’incapacità di governare di Meloni, perché davanti a questa nuova vergogna il governo non può fare la vittima. Ma deve tutelare tutti i cittadini, così come il presidente della Repubblica, quello del Senato e pure un senatore di opposizione come me. Invece siamo stati tutti spiati».