Corriere della Sera, 28 ottobre 2024
Cinesi ricercati dai connazionali
«Quando vediamo un cinese alle spalle ci preoccupiamo». Anche loro arrivano dalla Cina, anche loro frequentano le vie della Chinatown milanese, ma a portarli qui non è stato il sogno di migliorare il proprio livello di vita, bensì la necessità urgente di salvarsi. Loro non sono emigrati dalla Cina, sono scappati perché perseguitati per la loro fede religiosa, e adesso vivono come ombre a Milano, in attesa di ottenere o veder rinnovata la protezione internazionale da un governo che vorrebbe incarcerarli. Sono in quattro, si presentano con nomi italiani – Pina, Gianna, Luca e Marco – cortesia cerimoniosa e tanta paura, perché si sentono braccati, sorvegliati da un potere infintamente più grande di loro. E adesso hanno anche scoperto che alcuni dei loro nomi sono pubblicati su un sito web che considerano vicino ai servizi segreti del loro Paese.
I quattro cinesi «nascosti» a Milano sono seguaci della Chiesa di Dio Onnipotente, un movimento religioso che crede nella reincarnazione di Gesù Cristo e che è considerata fuori legge e perseguitata dalle autorità cinesi, proprio come accade per la più diffusa Falung Gong. Qualcuno ha già ottenuto il riconoscimento del diritto di asilo, che però deve essere rinnovato periodicamente, qualcuno è ancora in attesa. Sono arrivati qui in momenti diversi, scappando da casa con stratagemmi d’ogni sorta. «Ho approfittato dell’Expo 2015 per chiedere un visto per l’Italia – racconta Marco, sottolineando che il suo vero nome compare nel famigerato sito – perché avevo trascorso già un anno in carcere per causa della mia fede ed ero sottoposto a controlli sempre più frequenti, che mi avevano costretto a cambiare continuamente città».
Luca, 59 anni, era un agricoltore. Ha scoperto la fede e da quel momento anche la sua vita di provincia è esplosa: «Non dimenticherò mai il 29 luglio del 2002: eravamo riuniti a pregare in casa di un confratello e c’è stata un’irruzione. Ci hanno arrestati come criminali». Il racconto che segue suona surreale, considerando che tutto accade per un credo religioso: non solo carcere, ma anche molta violenza, catene ai piedi, umiliazioni, anche da parte degli altri detenuti, incoraggiati a tormentarlo. Dopo tre anni, il campo di rieducazione, quindi la fuga in Corea del Sud, il contatto con alcuni confratelli già rifugiati in Italia e la richiesta di protezione a Milano. «Perché se torno in Cina la mia vita è a rischio».
L’avvocato Eleonora de Rinaldo, che si occupa dell’iter per la richiesta di protezione internazionale di questo gruppo di perseguitati religiosi, sottolinea un fatto allarmante: «Qualche settimana fa abbiamo scoperto che i nomi di molte di queste persone sono stati pubblicati su un sito cinese, Da Ai Wang, che riposta con dovizia impressionante dettagli sulla loro situazione giudiziaria e non solo. È un fatto davvero inquietante che espone loro e i loro familiari a un serio pericolo. Non si capisce come certe informazioni siano potute finire nelle mani di chi apertamente dichiara di dare la caccia a tutti loro».
Intanto si ritrovano per pregare all’associazione Stella del Mattino e gravitano necessariamente attorno alla comunità cinese. Perché solo in quel mondo, per ora, possono trovare qualche lavoro: dalle lezioni ai bambini alle consegne a domicilio, dal facchinaggio alle traduzioni. Ma paradossalmente è proprio tra i connazionali che si sentono meno sicuri e anche per questo evitano persino i contatti con le famiglie: «Abbiamo notizie di spie del governo ovunque, qualcuno da Prato ci ha parlato anche di agenti dei servizi cinesi infiltrati qui, ogni volta che vediamo un cinese alle nostre spalle abbiamo paura».