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 2024  ottobre 28 Lunedì calendario

Viaggio nella Cina dell’auto

Wuhu (Cina) Se cercate su una mappa digitale Wuhu, vi comparirà un puntino distante 350 chilometri da Shanghai e 110 da Nanchino. Un simbolo dall’apparenza insignificante, dietro il quale si cela una città da 3,6 milioni di abitanti – quindi, relativamente piccola nella scala delle metropoli cinesi —, culla di una di quelle realtà automobilistiche che tanta preoccupazione stanno suscitando nell’industria occidentale del settore.
Il gruppo Chery, che vi ha sede, dà infatti lavoro a circa un quarto della popolazione di questo agglomerato, costituito da selve di anonimi palazzoni persi tra gli svincoli autostradali. Del glorioso passato del Celeste Impero non c’è infatti traccia, se non in uno dei parchi tematici che cercano di rendere attraente la città, in cui antiche case e templi sono ricostruiti con lo scopo di dare un’idea del trascorso splendore del Paese. Tutto il resto, invece, è votato alla modernità, tanto che per muoversi e per pagare ci si deve dotare di app come DiDi, un servizio equivalente al nostro Uber, e Alipay, che sostituisce le ormai obsolete carte di credito.
Non è un caso, quindi, che Chery abbia voluto mettere in scena nella città che l’ha vista nascere nel 1997 la sua Global innovation conference, accogliendovi un migliaio di ospiti, con una netta e non casuale prevalenza della delegazione proveniente dalla Russia, Paese verso il quale si dirige la maggior parte dell’export automotive cinese. Un evento che, al di là degli aspetti strategici e tecnici inerenti all’azienda locale, dà l’idea della visione che sembra accomunare i grandi gruppi automobilistici cinesi, da Byd a Geely, da Changhan a Saic: dopo aver saturato il mercato interno, in calo dell’8% nel terzo trimestre 2024, è il momento di fare rotta su quelli d’oltremare, con un occhio di riguardo per le praterie dell’Europa, prossima terra di conquista. E di farlo con forti motivazioni e saldo spirito, come dimostra lo spettacolo del top management Chery schierato alla fine delle sessioni di conferenze per intonare con vigore l’inno aziendale.
Per le strade di Wuhu, del resto, è raro vedere auto o veicoli commerciali che non siano di produzione cinese: le poche eccezioni riguardano modelli di altissima gamma, come le Ferrari e le Maybach damigelle d’onore di un matrimonio di prestigio. È quindi inevitabile che, al posto delle città sature di traffico, i quartier generali dei costruttori pensino soprattutto a trovare altri sbocchi per i loro prodotti, inventandosi nuovi marchi che vadano ad aggiungersi agli oltre cento esistenti.
Chery che da gennaio a settembre ha prodotto 1,5 milioni di auto (e chiuderà l’anno oltre i due milioni), esportandone 829 mila, riserva il proprio nome al mercato locale, su cui è presente con i modelli più popolari; Exeed è, invece, il suo brand di lusso, ancora sconosciuto dalle nostre parti, mentre Jaecoo e Omoda, in Italia da alcuni mesi, hanno come obiettivi rispettivamente un pubblico giovane e votato all’outdoor e uno più maturo, più interessato al comfort.
Arriverà da noi a metà 2025 anche l’ultima nata Jaecoo 5, che abbiamo potuto brevemente guidare a Wuhu: un Suv compatto (è lungo 4,38 metri), con motore 1.600 turbo a benzina da 147 cavalli, cambio automatico e prezzi intorno ai 30 mila euro. Chery, del resto, guarda con particolare attenzione all’Italia, dove ha intenzione di aprire nel prossimo futuro un centro di ricerca dedicato al design, che darà lavoro a più di cento persone.