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 2024  ottobre 28 Lunedì calendario

Intervista a Gerry Scotti

Gerry Scotti, è nato sul tavolo di cucina.
«Sono un ragazzo di campagna. Mamma passeggiava nella vigna quando si ruppero le acque, all’ora di cena».
Eh ma allora.
«Mio padre e mio nonno la riportarono in casa con il carretto degli attrezzi. La levatrice la fece sdraiare non in camera da letto ma sul tavolo da pranzo, vicino alla pentola di acqua calda. Il primo vagito l’ho lanciato lì, non stupitevi se mi piace mangiare e bere». 

Scotti, amatissimo volto tv (al momento uno e trino su Canale 5 con La ruota della fortuna, Tú sí que vales e Io Canto generation) ha raccolto i suoi ricordi e quelli di tutti noi nel libro Quella volta (Rizzoli), che esce domani.
Tre anni dopo: Milano.
«Il pezzo di terra dei nonni non bastava più a sfamarci. Mio papà – “il Mario” – trovò lavoro in città. Operaio alle rotative del Corriere della Sera, ogni notte. Per qualche mese fece avanti e indietro con la Gilera 150. Partiva alle 8 di sera, con casco, occhiali e la sigaretta in bocca nella nebbia o sotto la pioggia».
Poi la casa nuova.
«A piazzale Corvetto, con l’androne di marmo e il gabbiotto del custode e l’ascensore – non ne avevo mai visto uno – la vasca con l’acqua calda, io che ero abituato a farmi il bagnetto nel tino di legno».
Era timido. E magrolino.
«Fino ai 12 anni, per un lieve soffio al cuore, ero considerato “di gracile costituzione”, che sia messo a verbale».
Dopo è cresciuto.
«Sono un bel pezzo d’uomo di 110 chili e lode. Ma nella mia fisicità mi crogiolo e mi compiaccio. Condivido i pochi capelli e un po’ di pancia con la gran parte dei maschi italiani, li ho sdoganati. Piccoli difetti che mi piacciono e sono diventati punti di forza».
Un uomo normale.
«I miei amici sono quelli delle medie, del ginnasio e della radio. Porto la stessa marca di mocassini, gli stessi jeans, le camicie Oxford azzurrine, giro su un’utilitaria, ma se mi avessero lasciato il mio Ciao e la 500 sarei più felice. Vado in trattoria e continuo a lamentarmi del conto».
Con i piedi per terra.
«Ti aiuta a sopravvivere alla vita di un personaggio tv. Nel momento in cui credi di essere quello lì, sei finito».
Gerry e le diete.
«Due volte l’anno faccio un periodo detox. La domenica sera, dopo un weekend godurioso, al massimo mangio un frutto. E il lunedì sera, cascasse il mondo, mi faccio preparare il minestrone. Li chiamo “i miei fioretti”».
I primi lavoretti.
«Insaponatore di cartoni per guarnizioni di televisori. Confezionatore di cibi per vitelli. Due colpi di mangime, uno di vitamina, che costava. Quando il capo mi faceva girare le balle ce ne mettevo cinque. Se qualcuno in quegli anni ha avuto dei vitelli enormi ora saprà perché».
Bluffava sul cognome.
«Si andava a ballare alle Rotonde di Garlasco. “Come ti chiami?”. “Gerry Scotti”. “Come l’industriale del riso?”. “Beh, sono suo figlio”. E di colpo le ragazze mi svolazzavano intorno. L’ho raccontato a una convention. Dalle ultime file si alzò un signore: “Ecco perché cuccavo poco!”. Era Dario Scotti, quello vero. Ma c’è gente convinta che il proprietario dell’azienda sia io».
Nel 1982 faceva il pubblicitario, stava per partire per l’America, ma la chiamò Cecchetto a Radio Deejay.
«Già mi vedevo a surfare a Santa Monica».
E poco dopo, la Deejay Tv.
«Mi convinse Claudio: “Andrai bene, te lo dico io”».
Silvio Berlusconi commentò (davanti a lei): «Questo qui ha la faccia del mio ragioniere della Brianza».
«Non so se fosse un complimento. Anni dopo, al funerale di Vianello, mi confidò: “Quando vedo la tua faccia in tv mi sento a casa”. Il suo presentatore ideale era alto, magro e biondo, però si è divertito anche con me, sono 42 anni che vado in onda».
Per rimorchiare, mandavate avanti Sandy Marton.
«Io, lui e Cecchetto abbiamo letteralmente colonizzato Ibiza. Inaugurato ogni discoteca. Buttavamo dentro lui, su cento ragazze 20 svenivano, 30 si attaccavano a Sandy, 50 restavano intorno. Dai e dai... Ma non eravamo malaccio nemmeno noi».
Lo invidiava?
«Ridendo, gli dicevo che avrei voluto i suoi occhi azzurri e il ciuffo biondo. “Invece io vorrei essere come te”».
Cecchetto ha rotto con Pezzali: «È un ingrato».
«Mi dispiace, ci sono rimasto male. Tra tutti, Max mi sembrava quello più devoto a Claudio. Ma del resto hanno litigato persino i Beatles».
Lei gli è riconoscente?
«Sì. La gratitudine è uno dei sentimenti in cima alla mia lista, è meravigliosa».
In tv è pacioso, gentile, un amicone. È davvero così?
«Professionalmente do e pretendo molto, i miei collaboratori lo sanno. Dico le cose in faccia. Due o tre volte all’anno mi arrabbio. Però mi passa subito, non rimugino».
E a casa?
«Dicono che sono rompiballe e pedante. Chiudo i rubinetti, spengo la luce, protesto se mi spostano le cose. La mia compagna Gabriella ironizza: “Fai come in tv che sei perfetto”. Le signore le chiedono: “Com’è Gerry in famiglia?”. “Tenetevelo come lo vedete in televisione che è meglio”».
Cos’è che doveva fare in coppia con Bud Spencer?
«Si ritrovava nella mia fisicità. “Sarebbe bello girare un poliziesco in cui sono tuo padre”. Peccato, anch’io avrei mangiato fagioli con lui».
Mike Bongiorno.
«Burbero, sempre di corsa, ti passava accanto in corridoio e ti rimproverava. “Pettinati”. “Togliti quella cravatta”. “Che schifezza di giacca”».
La nominò suo erede tv.
«Durante l’unica puntata di Striscia condotta insieme. Mi fece inginocchiare sul bancone. “Vabbé, dai, sei tu”».
In Sardegna.
«A tarda sera, mi mandava a chiamare dal comandante della barca. “Il signor Mike le vuole parlare”. Mi offriva un cognac e un sigaro, pretendeva che lo accendessi anche se non lo fumavo. “L’anno prossimo vorrei andare a sciare al Polo Nord”. Con 32 anni di differenza, avevamo un figlio della stessa età. “Ma anche il tuo si comporta così?”».
Ha avuto solo 4 fidanzate: «Una al liceo, una all’università, una alla radio, la quarta l’ho sposata».
«E ora c’è Gabriella. Non sono stato un grande donnaiolo, ero serio, avevo il vizio di fidanzarmi, mi piaceva avere la ragazza fissa. Non si offendano altre che non ho citato, non ne ho avute cento. E in tv, ho lavorato con le più belle».
Appunto. Tentazioni?
«Se non sono finito nei guai con le Letterine, una più bella e sveglia dell’altra... Ero sensibile al loro fascino, in un periodo complicato, con la separazione. Però non mescolo lavoro e vita privata. Le mie preferite non sono mai state le più attraenti, ma quelle che si ricordano di dirmi buongiorno e buonasera».
Michelle Hunziker?
«Michelle mi considera un fratello e si sa che, quando è così, oltre non si va mai. Anche per me è una sorellina, le voglio molto bene. Sono più contento, preferisco essere lo zio, l’amico».
Qualche avance ricevuta?
«Magari mi si faceva capire che ce n’era, ne sono uscito in maniera educata, delicata».
Era geloso.
«Delle tre prime fidanzatine. Brutto difetto. Ho confuso l’amore con la gelosia, invece non c’entrano niente. Se ami una persona non puoi esserne geloso, altrimenti vuole dire che non ami davvero».
Che combinava?
«Le classiche cose, tipo andare sotto casa, suonare al citofono di notte per sapere se c’era. Una malattia, da cui sono contento di essere guarito. E a chi non ci riesce da solo, consiglio di farsi aiutare».
«Ho perdonato anche chi doveva chiedermi scusa».
«Meglio perdonare chi non lo merita che non accorgersi di avere trattato male qualcuno. Una regola di vita. Infatti dormo tranquillo. Se non fosse per lo studente della Bocconi del piano di sopra che cammina con i tacchi, lui o la sua fidanzata. Ecco, ora lo sa».
È felice?
«In altri momenti ci avrei messo di più a risponderle. Ora no: sì, sono felice».