Robinson, 27 ottobre 2024
Intervista a Giampiero Mughini
Non vedevo Giampiero Mughini da qualche anno. Mi erano giunte notizie allarmanti sul suo stato di salute. Dopo un paio di messaggi scambiati concordiamo un incontro. Nella sua casa di Monteverde, che è un po’ la prazziana “Casa della vita”, così carica di oggetti, libri, manifesti, mobili. Tutto già raccontato, tutto raccolto e ordinato nel nome di un collezionismo inseguito con tenacia nel corso di più di mezzo secolo. Mi riceve con qualche fatica, appoggiandosi a un bastone. Mi sento un po’ un intruso. Per farmi perdonare gli dono le Opere di Aldo Buzzi. Un autore che ama e che sfiora nella sua recente Controstoria dell’Italia (Bompiani) che è il pretesto della nostra chiacchierata.Come stai?«Come vedi, non al meglio. Sono stati mesi durissimi.Faccio fatica a muovermi. Ho ricominciato, vabbè dai».Ho visto che hai ripreso a scrivere.«Sì, sulFoglio,il martedì».Hai sempre scritto molto.«A parte la professione giornalistica, ho all’attivo 37 libri».Non sono un po’ troppi?«Forse, o magari no. Mi assolvo, anche perché scrivo sempre in prima persona».È vero, nei tuoi libri ti piace esporti.«È una questione fondamentale, per me».Nel senso?«Qualunque cosa mi sia accaduto di raccontare l’ho fatto con correttezza verso gli altri, riconoscendone, se c’era, il valore. Anche nei riguardi di persone che sono lontane dai miei gusti e dal mio pensiero».Beh, sei anche molto rissoso.«Diciamo un po’ fumantino. Un bell’incendio brucia tante ipocrisie».Veniamo al tuo “Controstoria dell’Italia”. Come prima immagine racconti di te a tre anni in casa con tua madre, mentre fascisti e partigiani si sparano dai tetti di Firenze.«Era una guerra civile. Dei partigiani bussarono alla nostra casa. Uno portava una mitragliatrice sulle spalle.Vollero piazzarla sul davanzale di una finestra, in modo che dall’alto potessero dominare la strada sottostante.Era l’agosto del 1944».Tuo padre dov’era?«Rifugiato non so dove. Da fascista convinto temeva rappresaglie».Ma che ci facevate a Firenze?«Papà vi era stato trasferito per lavoro. Venivamo dalla Sicilia. Tornammo giù qualche settimana dopo su un camion di americani».Mi ha stupito il ritratto che nel libro fai di Alessandro Pavolini.«Si è battuto fino in fondo in difesa dei valori in cui ha creduto. Catturato fu fucilato a Dongo».La morte violenta non è mai accettabile.«È quello che penso».Anche se la vita di Pavolini fu intrisa di violenza.«So anche questo».Avallò l’omicidio di Matteotti, impedì a Gaetano Salvemini di parlare all’università, diede vita durante la Repubblica di Salò a una milizia feroce fondando le Brigate Nere.«Vuoi che non lo sappia?».E allora?«A distanza di ottant’anni preferisco la pietas alla condanna. La stessa in fondo che manifestò in un ricordo lo scrittore Romano Bilenchi, che gli era stato amico.Compassione per tutte le vittime della guerra. E la nostra fu una guerra civile. C’è stato bisogno a suo tempo di uno storico di sinistra come Claudio Pavone per rompere quel tabù e chiamare le cose con il loro nome: non solo lotta di resistenza ma guerra civile».Che giudizio dai dell’antifascismo?«A 18 anni ero un furioso e intransigente antifascista.Ricordo cosa dissi durante un comizio a Catania per la celebrazione del 25 Aprile: “Abbiamo fatto male a risparmiare i fascisti”. Ma cosa mi diceva la testa: che tutti i fascisti dovevano essere eliminati, compreso mio padre?».Te ne pentisti?«Ripensai in seguito al disagio provato per un’affermazione così forte e violenta. Giurai a me stesso di non pronunciare mai più frasi così stupide. In questi anni mi sono trovato spesso a pensare che quelli non erano dei mostri ma degli italiani diversi».La parola diverso l’attribuirei a coloro che erano stati emarginati e perseguitati.«È vero, i fascisti non erano affatto emarginati. Ma ciò che voglio dire è che non è stato mai tutto bianco o tutto nero.Capisci? Invece sono state cancellate le sfumature. Che sono il primo requisito dell’intelligenza. In Italia la dualità sinistra-destra è stata per troppo tempo onnicomprensiva. Ma non credo che oggi aiuti a leggere il nostro mondo».Ossia?«Oggi la politica non è più tale da avvolgere tutto, come accadeva nel ‘900 quando un’identità partitica dava il senso alla tua personalità, al tuo agire nel mondo, alle tue convinzioni, al tuo scrivere libri. Non è più così. Oggi la politica non avvolge più niente!».Ma allora perché è stata così importante?«In ragione di due fatti salienti. Innanzitutto le due guerre mondiali e poi i totalitarismi».Ti piacciono i personaggi contraddittori, dotati di una coerenza incoerente.«Sì mi piacciono molto quelli che riescono a liberarsi di un certo vestito e a indossarne uno nuovo».Il cambio di casacca è uno sport nazionale.«Mi riferisco non a quelli che venderebbero la propria madre pur di sopravvivere, ma a coloro che riconoscono i propri errori del passato. E non li nascondono».Cosa ti fa soffrire nel rapporto con gli altri?«Esistono diversi gradi di sofferenza. Una stroncatura a un mio libro mi fa soffrire, perché un libro è come un figlio. E non ti può far piacere che si dica che tuo figlio è un imbecille. Qualcuno che mi toglie il saluto solo perché la penso in un modo diverso mi fa incazzare. La mancanza di lealtà mi provoca dolore. Infine non accetto i giudizi offensivi solo perché ho l’onestà di dire quello che penso. Il poeta e scrittore Giovanni Raboni mi definì “ripugnante”, lo querelai. Ma il magistrato mi diede torto. Da allora ho rinunciato alla querela».In fondo tutto è nato dopo la pubblicazione del tuo “Compagni, addio”. Fosti considerato un rinnegato.«Non mi perdonavano quello che avevo scritto. Un caro amico come Vittorio Foa mi rifiutò un’intervista. Dovette intervenire Mario Pirani, allora direttore dell’Europeo, per convincerlo a riparlarmi».Sei uno che non dimentica facilmente.«È vero, porto con me il bagaglio di insulti ricevuti e a volte mi succede di aprirlo».Non è più semplice chiudere e passare oltre?«Non ce la faccio, a meno che non abbia la sensazione che dall’altra parte non ci sia un vero ripensamento».Hai un carattere pessimo.«È quello, che posso farci? Una dote che mi riconosco è la lealtà. Si tratta di un sentimento che mi fa dividere il mondo tra i pochi amici e il resto del mondo».Mi colpisce una frase del tuo libro: «Oggi che sono vicino al capolinea della vita solo a questo tengo, essere una brava persona».«È così e ho aggiunto: “Tutto il resto è cianfrusaglia”».Chi è una brava persona?«Uno che non farebbe mai un torto a un amico. Non argomenterei contro qualcuno per distruggerlo, non insulterei l’avversario. Ora vedo che è in voga questa nuova parola: ildissing,il darsi addosso ferocemente. Da molto tempo non avverto più il bisogno di dare addosso a nessuno. Il che non mi impedisce di dire quel che penso».Ci metti, come dicevamo, la faccia.«Penso che se uno scrive deve avere l’onestà di esporsi».D’accordo, ma se tu hai deciso di esporti devi anche sapere che a qualcuno la tua faccia possa non piacere.«Ci mancherebbe altro. Ma se uno ti dice che sei ripugnante come reagisci? Se uno del quale sei stato molto amico ti dice che non vuole farsi intervistare da te, non è umiliante? Poi è chiaro, non ho mai considerato Vittorio Foa un nemico. Per me restava un eroe della resistenza che si era fatto anni di galera. E non ho cambiato idea».Forse hai cambiato idea sul mestiere di scrivere.«Per lungo tempo è stato il mio rifugio. Ma per chi scriviamo? Di fronte all’espansione brutale dei social, lamia è diventata un’attività clandestina».Rispetto alla carta stampata, libri e giornali, hai fatto un passo ulteriore. Sei andato in televisione. Scegliendo spesso programmi popolari: calcio, Grande Fratello, Ballando sotto le Stelle. Come reputi queste scelte?«Come un gesto di libertà mentale. Non mi piace immaginarmi chiuso in una sola definizione, in un’unica didascalia. E mi piace misurarmi con pubblici diversi».Questa diversità che rivendichi, oltre ad arricchire il tuo conto in banca, cosa aggiunge?«Io vivo del mio lavoro, ed essere pagato è importante.Venni a Roma nei primi anni Settanta con seimila lire in tasca. O mi pagavano o non sarei sopravvissuto. Però, ripeto, mi piace saltare da un pubblico a un altro».Ti piace perché in fondo non credi più a niente?«Alla fine credo di essere una brava persona».Questo l’ho capito. Ma non c’è nulla di male a dire che siccome non ci sono più verità scolpite, ciò che conta è il proprio comportamento.«È così. Il perno centrale è il mio comportamento».Sembra l’atteggiamento di un nichilista.«È un’affermazione che ci sta».Una volta mi hai parlato delle tue depressioni e dei risvolti drammatici.«Cinque mesi in un tunnel nero non sono uno scherzo».Ne sei uscito. Ora sei nella fase di chi ripensa al rapporto col suo corpo. Alla nuova malattia. A proposito che cos’hai esattamente?«Una patologia degenerativa».Di fronte al corpo che ti tradisce come hai reagito?«Cercando di continuare a vivere. Nei primi mesi non ero più in grado di scrivere una riga. Fu straziante. Mi sto abituando a vivere questo ultimo tempo della mia vita all’ombra della morte».In una persona vitale e lucida come te cosa significa, che segno le dai?«Che tutto quanto ti aspetta di fare sarà molto meno rispetto a quello che hai fatto. Dopo laControstoria avevo l’intenzione di dedicarmi a un nuovo libro. Dubito che ci riuscirò».Dai l’impressione di poter ancora fare tanto.«Sì e no. Dentro di me c’è un groviglio che non si dipana facilmente».Intendi delle resistenze?«Tutto è diventato molto più difficile».Il groviglio non si dipana perché non trovi il filo da tirare o è inutile?«Penso sia inutile. Non c’è filo da tirare che tenga».Ti rimproveri qualcosa di quello che hai fatto?«Non ho mai doppiogiocato con i miei amici e perfino con le donne. Sto insieme con Michela da quasi 34 anni, e in questa lunga storia un altro paio di donne hanno fatto capolino nella mia vita, com’era inevitabile. Ma credo di essermi comportato lealmente».Intendi che non hai tradito?«Sono andato con una donna che non era Michela, il tradimento c’è stato. Però lo ha saputo subito».Senza sotterfugi?«Senza. Ho avuto una tenuta più che decente. Sapeva di quella storia che è durata qualche mese».La crisi sentimentale ti ha fatto soffrire o l’hai vissuta razionalmente?«Una crisi sentimentale è una brutta bestia. Sia nei riguardi di Michela che dell’altra che era una brava ragazza. Penso di essere stato leale. Per me la lealtà è importante perché essendo un giudice severo di me stesso non sopporterei l’idea di darmi un voto basso».La solita brava persona?«Non ho mai cercato nel lavoro di rubare spazi altrui».Cosa ti manca in questo momento della vita?«Le gambe che ormai funzionano così così e la forza di organizzare mentalmente e poi scrivere quello che sarebbe stato il mio ultimo libro».Oltre a dare forma a dei pensieri, cosa attribuisci alla scrittura?«L’espressività di stare al mondo, questa è stata per me la scrittura».Hai invidiato qualcuno per la scrittura?«Ci sono tanti bravi scrittori, non ho mai fatto paragoni. Non ho mai vissuto il confronto come una gara. Mi devo far condizionare perché non scrivo come Sciascia o Calvino? Ognuno ha la propria riconoscibilità».Che libro avresti voluto scrivere?«Pensavo a un bilancio complessivo, di tutto».E se dovessi trovare una frase di attacco?«“Fatico ad andare dalla camera da letto al bagno. Oggi ho 83 anni”».