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 2024  ottobre 27 Domenica calendario

I cent’anni del Giornalino

Lanciato nell’ottobre 1924, il Giornalino compie 100 anni, la più longeva rivista per ragazzi d’Europa. Nacque dallo spirito vulcanico di Giacomo Alberione (1884-1971), sacerdote fossanese con il pallino, e il talento, della divulgazione. Mix fra un Mark Zuckerberg e un Elon Musk in talare, nell’agosto 1914 invase i nuovi (all’epoca) mezzi di comunicazione con l’idea di piegarne il ginocchio al servizio del Vangelo e nel 2003 Papa san Giovanni Paolo II lo ha fatto beato. Creò la «Famiglia paolina», un network per azioni virtuose al cui cuore sta il ramo editoriale oggi suddiviso in due, le Edizioni Paoline e la San Paolo. Alla seconda competono i periodici, dunque appunto il Giornalino.
Fu la stessa Santa Sede a spronare all’uso apologetico di nuvole parlanti e strisce disegnate per tutta la durata della tempesta modernista e fino alla crociata anticomunista. Negli Stati Uniti restano storici gli albi usciti dagli anni 1940 ai primi 1960 della Catechetical Guild Educational Society di St. Paul in Minnesota e il periodico Treasure Chest of Fun & Fact, ideato dall’editore George A. Pflaum di Dayton, in Ohio, per i primi gradi delle scuole. In Belgio le parrocchie produssero, ancora prima, talenti come Hergé (creatore di Tintin) e Jijé la cui impronta si farà indelebile in tutto l’orbe francofono, influenzando testate come Le Journal de Spirou dei Lucky Luke di Morris e dei Puffi di Peyo o Pilote, dove nacque Asterix di Albert Uderzo e René Goscinny.
Ebbe, il Giornalino, la forza di importare da noi quei vari Asterix, Puffi e Lucky Luke, trasformando in realtà il sentore da isola leggendaria che avevano quelle storie altrimenti impossibili da raggiungere prima di Internet. E non solo. La foliazione de il Giornalino cresceva al crescere del successo allorché uscì dai tavoli della buona stampa delle chiese, sbarcando in edicola. Il tratto sobrio dei disegni, l’umorismo mai sarcastico e pornografico (che non è solo l’esibizione di organi sessuali), l’intreccio di trame e caratteri mai soltanto sfilze di sequenze e nomi, il nitore delle visioni, persino i valori presenti senza strafare hanno fatto la gloria de il Giornalino e la storia di un pezzo di Italia bella.
Prendi per esempio Larry Yuma di Carlo Boscarato e Claudio Nizzi, un
d’après del Clint Eastwood di Sergio Leone che inciderà persino sull’immortale Tex della Bonelli. O Il Commissario Spada di Gianluigi Gonano e di Gianni De Luca. O ancora le «strane historie» di Bellocchio e Leccamuffo, servi della gleba in un Medioevo strampalato (fu un’epoca seria, merita la sdrammatizzazione di una risata sana) creati dall’italiano di Eritrea Giovanni Boselli Sforza su testi di Corrado Blasetti. E come dimenticare che il Giornalino è stato persino il Robin Hood di inchiostri e piombi contro lo strapotere dell’idolo televisivo, riuscendo a trasferire quel colpo di genio che fu La linea di Osvaldo Cavandoli dallo schermo alla carta e a tirare a stampa i racconti di viaggio di Folco Quilici? Rivaleggiando con gli sceneggiati Rai in bianco e nero (per carità, sublimi), ha persino puntato alto, dando colore a Omero, Dante, William Shakespeare, Rabelais, Daniel Dafoe, Victor Hugo, Mark Twain, Alessandro Manzoni, Robert Louis Stevenson, Howard Philips Lovecraft e Jules Verne. Licenziatario negli anni di Bugs Bunny, Daffy Duck, Silvestro, Braccio di Ferro, Gli antenati, I pronipoti, Yoghi e Bubu, Scooby-Doo, Tom & Jerry e persino dei Jurassic Park e degli Star Wars a disegni, ha inventato serie come I grandi del jazz, I grandi del calcio, I grandi del cinema e lanciato nomi unici quali Dino Battaglia, Benito Jacovitti, Franco Caprioli, Sergio Toppi, Alfredo Castelli, Tiziano Sclavi e tanti altri. C’era qualcosa di non banale ne il Giornalino. La magia di copertine a matite e intelligenze naturali prima che quelle artificiali straripassero. Tavole dove ci si immergeva per cogliere un particolare. L’appuntamento fisso alternativo alla serialità fordista. La normalità anche nel paradosso dei fumetti, il chiaro distinto dallo scuro, persino il bene diverso dal male, una morale quotidiana, calma, semplice, priva di predicozzi, preti ballerini, suore canterine ed emozioni a (tele)comando.
Oggi nelle chiese è però rimasto solo il tavolo. La buona stampa nessuno sa più cosa sia (non è inclusiva e nemmeno green) e il Giornalino è un dinosauro: il resto in decomposizione di un’epoca in cui i cattolici erano l’avanguardia della società, dell’imprenditoria, addirittura dei fumetti. Continua a uscire, il Giornalino, ma non fa alcuna differenza, non se ne sente il bisogno. Le storie sono nulle e i personaggi meno che fantasmi. I disegni sono cliché indistinguibili da quelli standardizzati di mille altre testate o dalle pubblicità del metrò. Le grafiche riciclano qualche template perché la massificazione è oramai l’ultimo bene-rifugio. Idee e talenti non pervenuti, basta il moralismo, confort-zone del pensiero sciapo. Di un fu-colosso così non funziona nemmeno il sito web (dalla sintassi improbabile, giornalino.g-web.it). Don Alberione si metterebbe le mani nei capelli. Lo sfogli un secolo dopo, il suo il Giornalino, e ti rendi conto di come il tempo sia inesorabilmente passato senza che nessuno sappia però più abitarlo e ‒ diceva T.S. Eliot ‒ redimerlo.