La Stampa, 27 ottobre 2024
Intervista a Jannik Sinner
Parigi. «Perché piaccio alla gente? Forse perché sono uno normale». Jannik Sinner è il numero 1 della porta accanto. Anche quando ti siedi a chiacchierare con lui nella «pancia» della Accor Arena, a Parigi-Bercy, Jannik l’antidivo ti guarda negli occhi e apre il cuore.
Sinner, definiamo «uno normale»?
«Il successo non mi ha cambiato, sono sempre lo stesso. Non cammino a testa alta se vinco, non mi deprimo se perdo. Non mi piace stare sotto i riflettori. Non mi atteggio. Chi mi sta vicino sa quanto tempo dedico al tennis. Poi o piaci o non piaci, non si può controllare tutto. Io bado a chi mi sta vicino, alla famiglia, del resto mi importa poco».
Come si rilassa uno degli sportivi più famosi del mondo?
«Guidando, mentre ascolto un po’ di musica. Sembra banale, ma non lo è per chi è sempre in giro per il mondo. A Monte-Carlo dopo gli allenamenti a volte mi metto al volante e faccio un giro, anche a Torino per le Atp Finals verrò in macchina».
Le piace sciare e correre in kart: a molti atleti viene sconsigliato, ma lei non cede.
«Alla fine ho 23 anni. Sugli sci mi sento sicuro e sui kart non corro certo come un pazzo. La velocità mi piace, sono fatto così. A tre anni e mezzo facevo già le piste nere... Ora, rispetto a due anni fa, scio al massimo un’ora e mezzo, poi si va al ristorante. Sono le cose che mi fanno stare bene».
A Torino ha debuttato in Coppa Davis, raggiunto la finale l’anno scorso e fra due settimane alla Inalpi Arena la premieranno come n. 1 di fine anno. È la sua città del cuore?
«Torino è un posto molto, molto speciale per me. Ci sono successe tante cose. Tornarci dopo quello che ho ottenuto in questa stagione mi rende orgoglioso. È una bella città, poi i torinesi amano lo sport. C’è il calcio, il tennis...».
A calcio ha giocato da piccolo: è vero che suo padre la allenava e la sostituiva perché dribblava troppo?
«Ero un centrocampista e volevo sempre andare in porta. Ma non me lo permettevano».
Da milanista, si sbilanci: vede meglio la Juventus o il Torino?
«La Juve ha un potenziale superiore. Ma nel calcio può cambiare tutto in un attimo».
Le piace l’atmosfera dello stadio?
«Sono stato a vedere la Champions a Monaco: la mentalità è diversa. In Italia lo sport lo vivi, con 70 mila persone che urlano. L’Italia è il paese delle emozioni».
Torniamo al tennis: quale numero 1 del passato vorrebbe incontrare?
«Ogni numero 1 ha qualcosa di speciale. Ad esempio mi ha fatto molto piacere parlare con Agassi. Agli Us Open mi ha dato anche qualche consiglio».
Sinner contro Agassi, mica male.
«Andre ha uno dei rovesci migliori di sempre e appartiene a una generazione diversa dalla mia, come Sampras. Mi piacerebbe confrontarmi con chi come loro ha vissuto un tennis diverso, con una mentalità diversa. Sono onorato che ora tocchi a me, ma il lavoro continua. Arrivano nuovi giocatori, con stili diversi. Il tennis non finisce mai».
L’Italia è presente in tutte le Finals, maschili e femminili. È stato lei a trascinare il movimento?
«In Italia spesso si ha la memoria corta. Io sono arrivato quando Fognini vinceva Monte-Carlo e Berrettini faceva finale a Wimbledon. Già nelle scorse stagioni ero costante, anche se non vincevo tanti titoli: proprio come sta facendo ora Musetti. Berrettini sta tornando, ci sono Cobolli e Arnaldi: ogni settimana, per uno di noi che perde, altri due possono vincere un torneo. Sono contento di aver dato il mio contributo. Ma in campo ciascuno è solo».
Parliamo del suo grande rivale Carlos Alcaraz?
«Siamo due giocatori molto diversi. Io tengo il ritmo molto alto, sono forte mentalmente. Lui lo è fisicamente e tennisticamente al momento ha qualcosina in più: gioca meglio lo slice, le volée. Ma per me è un fatto positivo: significa che ho margini».
Tecnicamente che cosa gli ruberebbe?
«Carlos in campo fa i numeri: smorzata, passante, lob... Non so se io sarò mai così. Però come tennista sono più solido e quando serve piazzo l’accelerazione vincente».
In che cosa invece vi assomigliate?
«Tutti e due tiriamo fuori il meglio nei punti importanti».
Lei assomiglia a Djokovic, Alcaraz a Federer: è d’accordo?
«Forse per la mentalità. Carlos è simile a Nadal, pressa fin dal primo punto, corre moltissimo. Poi alza la voce, sa come accendere il pubblico. Io sono più calmo, più freddo. Ma so diventare caldo anch’io. A volte fa bene innervosirsi, urlare contro il team, uscire dagli schemi un attimo, per poi rientrarci. Lo puoi fare se attorno hai persone di cui ti fidi».
Il tennis oggi siete voi?
«Quest’anno ci siamo smezzati gli Slam, ma ci sono altri campioni: Zverev, Medvedev, Djokovic, Musetti, Shelton, Tsitsipas... E devi batterli».
A 23 anni quanto si può cambiare, trasformarsi?
«Insieme con il mio team sto mettendo tante cose nuove nel mio tennis: anche un po’ di serve&volley. Ma ci vuole tempo. Quando avevo 14 anni non facevo mai smorzata e slice: se tornassi indietro, inizierei prima. Anche a costo di impiegare più tempo per arrivare».
Che cosa significa maturare?
«Tante cose le faccio meglio perché ora conosco il mio corpo. Mi sveglio il mattino sapendo quello che devo fare. Una volta dicevo: gioco alle sette di sera, mi alleno a mezzogiorno. Oggi so che devo dormire di più per riposare».
Ci racconta il suo rituale prima di ogni partita?
«La routine inizia negli spogliatoi, mettendo il tape, cambiando il grip al manico della racchetta, scaldandomi. Poi se vado in bagno vuol dire che la partita la sento, ed è giusto così. Se non succede, allora gioco male o perdo. Possono sembrare sciocchezze, ma tutto quello che faccio nella mia giornata ha un senso. Anche stare attento a non mangiare o bere troppo».
Il 2024 è stato un anno straordinario e insieme molto complicato...
«Mi ha aiutato a capire chi è veramente mio amico e chi no. Il momento più difficile è stato quando è uscita la notizia del processo, prima degli Us Open. Ma sapere di non aver fatto niente di male mi ha aiutato a giocare bene».