Il Messaggero, 27 ottobre 2024
Italia seconda produttrice mondiale di caviale
Se ancora – a livello mondiale si gustano le uova di caviale e si mangia carne di storione, gran parte del merito è dell’Italia. Siamo i maggiori allevatori in Europa del pesce che era a rischio estinzione e i secondi produttori mondiali delle preziose uova. La svolta è datata 1998, dopo lo stop alla pesca del selvatico imposta dalla Convenzione Cites a Washington. Proprio allora alcuni imprenditori italiani avviarono o potenziarono allevamenti nel Nord Est, territorio ideale grazie alle acque pulite che scendono dalle Alpi e al clima solitamente mite. Così oggi dati 2023 dell’Api, l’Associazione piscicoltori italiani produciamo 1.050 tonnellate di storione per un valore di 5,25 milioni di euro, mentre la produzione di caviale si attesta sulle 65 tonnellate, 70 milioni di euro di fatturato nelle aziende ittiche che diventano circa 240 dopo la commercializzazione.La Cina (300 tonnellate di caviale) è il maggiore produttore mondiale; terzo l’Iran, fermo a 35 tonnellate. Mediamente per ogni tonnellata di caviale vengono prodotte circa 20 tonnellate di carne di storione. Interessante anche l’export dei sottoprodotti e trasformati: quasi 2.700 chilogrammi (38 % estratti, 20 % cosmetici, 16 % pinne e 11 % altri derivati).Negli allevamenti italiani grande attenzione è dedicata alla sostenibilità. «I nostri spazi produttivi sono sempre più alimentati da fonti di energia rinnovabili, principalmente fotovoltaiche. Il nostro impegno green è al centro di tutte le nostre strategie», afferma, per esempio, Domenico Meduri, ad di Cru Caviar, prima azienda europea per quantità di Beluga, il caviale più pregiato. A livello complessivo carne, caviale e derivati – la maggiore in Italia è Agroittica Lombarda. Tra le altre, Storione Ticino, Caviar Giaveri, Pisani Dossi, Salmo-Pan, Royal Food Caviar. In queste settimane è iniziata la raccolta delle uova. I prezzi al consumo durante le prossime feste di Natale e Capodanno sono ormai sostanzialmente decisi.Il costo di un chilo al dettaglio varia dai 1.850 euro per il caviale da storione Siberiano alle 6 mila del Beluga. Nel mezzo altre 25 specie, con prevalenza delle varietà internazionali Bianco, del Danubio e Siberiano. Autoctono è rimasto solo il Cobice originariamente del Po, adesso reimmesso anche in acque libere. Ovviamente le uova non sono tutte uguali. «A dare valore al più pregiato Beluga spiega Meduri non è solo il prestigio del nome. Ci sono fatti oggettivi. Per portare una femmina di Beluga alla maturità sessuale servono 20 anni. Noi adesso stiamo raccogliendo uova da femmine di 22-24 anni. Invece, per il Siberiano bastano 7-8 anni». Diverse anche le caratteristiche organolettiche. «Il Beluga riprende Meduri può raggiungere la tonnellata di peso e così le uova sono più grandi».Costa un 10-15 % in meno il caviale proveniente dall’estero, principalmente dalla Cina che produce a prezzi concorrenziali non dovendo rispettare i rigidi parametri di produzione e vincoli sanitari e di qualità.Riconosciuto ormai come uno dei prodotti di eccellenza del Made in Italy alimentare, le aziende non si limitano alla sola vendita nelle tradizionali lattine dai 10 ai 50 grammi. Cru Caviar è riuscita con un procedimento artigianale a compattare le uova in un sigaro da grattare sui cibi, mantenendone intatte le caratteristiche organolettiche e il sapore. A Mantova la Pasticceria Antoniazzi propone un panettone sapido-dolce con gocce di cioccolato e caviale croccante. Se il caviale, nonostante il prezzo, è ormai comune, non è lo stesso per la carne di storione. Pur essendo i primi produttori europei, ne consumiamo pochissima, esportando la quasi totalità dell’allevato.«L’allevamento di storioni in Italia – racconta Andrea Fabris, direttore dell’Api – rappresenta poco più del 2% della produzione di acquacoltura, ma è il comparto con le maggiori performances di crescita». L’attività è però appesantita da eccessive incombenze burocratiche. «Furono – spiega Fabris – correttamente imposte dalla convenzione Cites a tutela del selvatico, ma la produzione italiana è 100% da acquacoltura. È auspicabile un alleggerimento della burocrazia sull’etichettatura».