Domenicale, 27 ottobre 2024
Concluso il restauro del baldacchino del Bernini
La Basilica di San Pietro è un cantiere in fermento, dove si respira l’aria dell’attesa. In quattrocento anni non si erano mai visti contemporaneamente due giganteschi ponteggi sui più importanti monumenti della Basilica. L’Anno Santo torna a far splendere due straordinari capolavori assoluti del Barocco: il baldacchino berniniano e il monumento per la Cattedra di San Pietro. Per nove mesi le impalcature hanno avvolto l’opera. Il tempo di un parto. Oggi Papa Francesco presiede la prima celebrazione eucaristica sull’altare maggiore con l’opera disvelata, a conclusione del Sinodo dei Vescovi. In un giorno altrettanto particolare. È l’anniversario della Giornata mondiale di preghiera per la pace che San Giovanni Paolo II tenne ad Assisi nel 1986 e alla quale mi legano i ricordi della mia prima importante esperienza da giovane francescano.Ovunque visibile, il baldacchino – alto quasi 30 metri, quanto un palazzo di dieci piani – è posto sull’altare maggiore sotto cui vi è la tomba di San Pietro.
Annerito dal tempo. L’ultimo e il primo restauro risale a 250 anni fa. Oggi riappare nella sua ritrovata integrità e nel suo splendore. Per l’altare della Cattedra, invece, si continuerà a lavorare fino all’inizio di dicembre. Come per la nuova vetrata della Cappella del Crocifisso che custodisce la Pietà di Michelangelo che potrà essere ammirata attraverso vetri di altissima trasparenza e resistenza.
Un riverbero della luce e della bellezza, un rinnovamento esteriore attraverso un sapiente e necessario restauro.
Gli interventi sono stati eseguiti su bronzi dorati, con solventi selettivi, individuati sulla base di una attenta analisi dello stato di conservazione dell’opera, in sinergia con il Gabinetto di Ricerche Scientifiche dei Musei Vaticani. È il gioco di squadra che porta alla vittoria.
La Basilica si fa bella per il Giubileo della Speranza: la bellezza che la Chiesa è chiamata a riflettere, ma anche l’invito a un rinnovamento interiore.
Il baldacchino venne realizzato tra il 1624 e il 1635 per il papa Urbano VIII Barberini dall’architetto Gian Lorenzo Bernini con Francesco Borromini, suo rivale ma determinante per il gioco di squadra. Il monumento in bronzo dorato, alto quasi 30 metri, si innalza su quattro slanciate colonne tortili ispirate alle colonne marmoree disposte attorno alla tomba di Pietro nell’antica basilica e oggi visibili sulle Logge delle Reliquie. Queste magnifiche colonne, alte 11,20 metri, poggiano su piedistalli recanti gli stemmi papali con le simboliche “api Barberini”. Sul cielo del baldacchino è la Colomba dello Spirito Santo, mentre sul fastigio, dominato dalla croce sul globo, quattro artistici angeli si alternano a quattro coppie di putti recanti le chiavi e il triregno di San Pietro e la spada e il libro di San Paolo. Per l’intera opera, con preziose lumeggiature d’oro, vennero utilizzate circa 68 tonnellate di bronzo. E pensare che in antico adagio recita: «Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini» (Quello che non fecero i barbari, lo fecero i Barberini).
I lavori di restauro, sotto la direzione tecnico-scientifica della Fabbrica di San Pietro e in sinergica collaborazione con il Laboratorio di Ricerche Scientifiche dei Musei Vaticani, sono stati eseguiti da maestri restauratori di consolidata e riconosciuta esperienza. A sostenerne l’onere finanziario, per circa 700mila euro, è l’Ordine dei Cavalieri di Colombo che da oltre quarant’anni collabora con la Fabbrica di San Pietro.
L’ingegnere Alberto Capitanucci, responsabile dell’area tecnica della Fabbrica di San Pietro con Pietro Zander, responsabile della Sezione Necropoli e Beni Artistici della Fabbrica hanno lavorato braccio a braccio, senza risparmiarsi. Nei loro occhi la gioia e l’emozione di chi sa di aver avuto un appuntamento irripetibile con la storia.
Un restauro che ha fornito nuove informazioni grazie all’analisi dei materiali e delle tecniche impiegate. Ogni colonna, ad esempio, è composta da tre parti fuse, a cui si aggiungono il basamento e il capitello, e ciascuna parte presenta foglie di alloro, puttini e api, tutti parte della stessa fusione e non saldati separatamente. È un processo, a detta degli esperti, estremamente complesso, eseguito alla perfezione, come tutto ciò che si trova in San Pietro. Ed è così che ci si ritrova dinnanzi a un’esplosione di bellezza e perfezione.
Quando salgo – non senza trepidazione – sul ponteggio, tra le quattro colonne, Pietro Zander mi fa notare che su un capitello è stata ritrovata una piccola cavalletta, notata solo dopo il restauro, poiché il suo colore scuro si confondeva con l’oro impuro. Tuttavia, non è sola. Su quelle colonne ci sono anche lucertole, una salamandra e una mosca a grandezza naturale. I fonditori si divertivano a nascondere le proprie firme, invisibili dall’alto o da lontano.
Nelle zone più nascoste e poco accessibili della copertura, a circa venti metri d’altezza, sono stati trovati piccoli oggetti, testimonianze minori di epoche passate. Dal cappello di carta di giornale dell’Ottocento alla lista della spesa. Cose dimenticate lassù: la suola di una scarpa di un bambino, che richiama la tradizione familiare di un Sanpietrino il quale mostra al suo figlioletto il lavoro che svolgerà. Ci sono anche firme e sigle di chi si è occupato della manutenzione del baldacchino nel corso degli anni, con date che rappresentano un orgoglio, simile a un “libro d’onore”. Scoperte che ci hanno emozionato e permesso di cogliere l’aspetto più umano di un’opera d’arte straordinaria.