Domenicale, 27 ottobre 2024
Piantare alberi
Un mosaico del V secolo d.C. proveniente da una basilica cristiana della città di Uppenna, in Tunisia, adesso nel museo di Enfida, commemora Dione, ignoto agricoltore e «uomo pio» che «in pace vixit annos octaginta et instituit arbores quattuor milia». Una lunga e pacifica vita segnata dall’impianto, con molto sudore e amore nelle aride terre nordafricane, di un così grande numero di alberi (presumibilmente fichi e olivi), è traguardo ancora oggi più che desiderabile. Emblema di esistenze di cui andare fieri in un pianeta abitato da una umanità che sembra prevalentemente intenta a farsi guerra e dimentica (se non saltuariamente, all’arrivo di pandemie, catastrofici incendi e alluvioni) della malferma salute del pianeta di cui è assoluta dominatrice. Protagonisti dei tempi bui che viviamo fregiandoci del titolo di sapiens, siamo giunti nell’ epoca dell’Antropocene (che dichiara la rottura degli equilibri che hanno reso possibile la coesistenza tra gli umani e gli altri esseri viventi), e dopo aver promosso coraggiose politiche (in Europa, il green deal), sembriamo adesso dimenticarcene o pentircene e ricominciamo con quelle di aggressione tra popoli e nazioni, tra umani e nonumani. La pace è ormai divenuta obiettivo difficile da raggiungere ma così non dovrebbe essere per il non meno ambizioso traguardo della piantagione di migliaia di miliardi di alberi. Da qualche tempo, infatti, solenni dichiarazioni invitano a piantarne in aree agricole e abbandonate (però mai definite nei loro confini e ampiezze) e a coprire con essi il 50% degli spazi, orizzontali e verticali, superficiali e pensili, delle città. Intenti che non lasciano spazio a incertezze. L’informazione istituzionale, quella dei media tradizionali o dei social, non lo prevede. In convegni e libri, dichiarazioni di esperti e report scientifici discutono inascoltati sulla impossibilità di affidare solo agli alberi il compito maestro di sottrarre (attraverso la fotosintesi e l’immagazzinamento del carbonio nel legno) la CO2 dal cui crescente accumulo in atmosfera dipendono i cambiamenti climatici.
Non è l’utilità degli alberi che viene posta in discussione ma è la sottovalutazione dei servizi ecosistemici (ambientali, economici, culturali) che forniscono, trascurati da una visione riduzionista che si esprime solo in tonnellate di carbonio e metri cubi di legno. La possibilità di contribuire alla diminuzione della CO2 può infatti raggiungere il 10% dell’abbattimento richiesto per il 2050, mentre per il restante 90% bisognerebbe affidarsi a una drastica riduzione del consumo di fossili. Ciò non significa che gli alberi non vadano piantati e in grande quantità, perché se a essi è affidato un ruolo parziale nel contrasto al riscaldamento globale, non può essere trascurata l’assoluta importanza in termini di difesa del suolo, ciclo dell’acqua, contrasto alla perdita di biodiversità, produzione di frutti, bioenergie, manufatti e architetture, raffrescamento dell’aria: quella che si chiama multifunzionalità. E guai a dimenticare l’ombra e la bellezza, il valore culturale e spirituale: basta passeggiare in un bosco vetusto o soffermarsi davanti a un albero monumentale per comprendere come al loro cospetto sia nato il senso del sacro e sotto la loro chioma, proteggendosi dal sole o dalla pioggia, la filosofia.
Piantare alberi non può ridursi a slogan o proclami. È necessario scegliere (nei boschi, in campagna, in città) le specie dovute, a partire dalla conoscenza dell’ambiente (il clima, i suoli) dove insediarli e prendersene cura e servono vivai che li producano sani e rispondenti alla diversità ecologica delle aree di impianto. «L’albero giusto al posto giusto». Poche parole riassumono un programma che ha per base i saperi scientifici dell’arboricoltura e della selvicoltura ed è consapevole che se si vogliono affidare loro (ancora una volta, come è sempre stato) gli equilibri di un pianeta malmesso, ne va prima di tutto fermata la distruzione.
Benvenuto allora il volume Foreste e società. Piccolo dizionario di gestione forestale sostenibile che unisce 88 ricercatori e tecnici e le loro associazioni scientifiche e professionali nella redazione di 110 parole chiave. Fermare gli usi distruttivi, gli incendi devastanti, contrastare con la policoltura la fragilità che deriva da una riduzione dei boschi a macchine per produrre legno e immagazzinare carbonio.
Non ha bisogno né di slogan roboanti né, al contrario, del deprimente livello di consapevolezza che emerge dai social tra la positiva volontà di agire ed essere utili e gratificati dal gesto (sempre a suo modo solenne) della messa a dimora e la banale umanizzazione di alberi, foreste ed ecosistemi che hanno il diritto (che per noi umani diventa dovere) di essere trattati come diversi (alleati ecosistemici sì, non succubi strumenti o nuovi idoli).
Piantare alberi (se volete farvi nemico un forestale usate pure il termine “piantumare”!) non deve diventare, come spesso si legge, una moda, ma azione razionale che dalla pianificazione, alla gestione, fino alle utilizzazioni prenda atto della ineluttabile necessità di misurarsi con sistemi biologici complessi e, per andare nel concreto, con una Strategia Forestale Nazionale che pure esiste (Gazzetta Ufficiale n. 33) dal 2022.