la Repubblica, 27 ottobre 2024
Kagan spiega perché si è dimesso dal Washington Post
Washington – «Un paio di giorni fa Donald Trump ha incontrato i dirigenti di Blue Horizon, la compagnia di Jeff Bezos che fa attività spaziali e dipende dalle commesse dello Stato. Poco dopo il Washington Post ha annunciato che non avrebbe appoggiato alcun candidato alla Casa Bianca. È un chiaro caso di do ut des. In passato Trump ha attaccato molte volte Bezos, che ora si è piegato». Robert Kagan spiega così a Repubblica perché si è dimesso da principale editorialista del giornale che aveva svelato il Watergate. L’ex mente dei neocon durante l’amministrazione Bush aveva chiarito le ragioni per cui considera Trump una minaccia per la democrazia nel libro Rebellion, pubblicato in Italia col titolo Insurrezione.Cosa sostiene nel suo saggio?«Fin dalla nascita, gli Usa hanno avuto un’ampia parte della popolazione che non si è mai riconosciuta nei valori fondanti. Non sono democratici e liberali, non credono nell’uguaglianza dei diritti. Ne abbiamo visto gli effetti, dalla schiavitù alla Guerra Civile, dal Ku Klux Klan al maccartismo. Ora queste persone hanno trovato in Trump il loro rappresentante. Il vice Vance ha detto chiaramente che l’obiettivo è imporre un nazionalismo bianco e cristiano, basato su terra e sangue».Cosa ha reso ora Trump così popolare?«Il timore dei bianchi di perdere il controllo del Paese, per ragioni demografiche. Trump sfrutta questo panico. Se ci pensate bene, si è presentato sulla scena politica come bianco suprematista, sostenendo che Obama non era davvero americano».Oltre 70 milioni di americani lo hanno votato.«Esatto. È sconvolgente, ma dobbiamo prendere atto del fatto che il 40 per cento degli americani sostiene il suprematismo bianco cristiano».Ma non c’è un’emergenza immigrazione?«No, c’è un problema di controllo del confine. È diverso. Chi oggi vuole deportare gli immigrati, o li accusa di avvelenare il sangue del Paese, dimentica le discriminazioni che avevano subito i suoi padri, quando erano emigrati in America».Kamala Harris ha detto che Trump è fascista.«Lo avevo già denunciato nel 2016 e non ho difficoltà a ripeterlo. Alcuni dicono che la parola è abusata, ma non è così. Quando un movimento si riconosce in un capo carismatico, attribuendogli la capacità esclusiva di risolvere i mali della società, risponde a una definizione classica del fascismo. Se dici che il nemico è all’interno, prepari le liste di proscrizione. E non dimenticate che fascismo e nazismo arrivarono al potere usando le elezioni. Se Trump vince procederà con la dissoluzione del sistema democratico, a cui non aveva mai aderito. Se perde ci sarà l’insurrezione armata, oppure la secessione degli Stati repubblicani che non riconosceranno più l’autorità federale».Perché la comunità del business lo accetta?«Il capitalismo non ha bisogno della democrazia per prosperare e fare profitti, l’industria tedesca non fu penalizzata dal nazismo. Banchieri come Jamie Dimon di JPMorgan sono pronti a rinunciare alla democrazia, pur di fare i propri interessi».E i suoi ex amici repubblicani, tipo Nikki Haley?«Si sono inginocchiati a Trump per codardia o ambizione politica».Esiste ancora la possibilità di evitare questa deriva?«La vittoria di Harris, o prepararsi alla resistenza».