Corriere della Sera, 27 ottobre 2024
La serendipità nella scienza
Osamu Shimomura stava guardando Nagasaki dalle colline quando esplose la bomba, il 9 agosto 1945. Aveva 17 anni, fu investito dalla pioggia nera, lo salvò la nonna con una doccia bollente e una raschiata con le spugne dure di una volta. Morì a 90 anni. Tra gli sfollati, andò per caso a studiare Farmacia. Se la cavò bene e lo mandarono a Princeton. Qui si interessò, per curiosità, alla bioluminescenza naturale di certe diafane meduse, bellissime, della specie Aequorea victoria. Si chiama ricerca di base e, a priori, non serve a niente. Poi scoprì dentro quelle creature la proteina aequorina, la quale, se legata al calcio, emette una luce blu che viene poi assorbita dalla Green Fluorescent Protein, emettendo luce verde. Quella fluorescenza è oggi un marcatore cellulare di cui i biologi non possono più fare a meno. Il ragazzo sopravvissuto a Nagasaki vinse nel 2008 il Nobel per la Chimica. Nella scienza succede spesso: si sta cercando qualcosa e si scopre tutt’altro. Si chiama serendipità. L’editing genetico, il forno a microonde, i raggi X, materiali essenziali come teflon e nylon, il velcro, i vetri infrangibili, la chemioterapia, il pacemaker e molti altri pilastri della medicina sono tutte scoperte serendipitose. L’ingegnere che nel secondo dopoguerra rese gli Stati Uniti la più grande potenza scientifica e tecnologica mondiale, Vannevar Bush, diceva che le innovazioni più rilevanti provengono da sorgenti remote e inaspettate. Non si tratta di tentare la fortuna, ma di avere la mente preparata, come sosteneva Louis Pasteur, per cogliere al volo le opportunità imprevedibili. Quindi bisogna finanziare la curiosità, che dovrebbe essere considerata un diritto umano basilare. Lo diceva Umberto Veronesi, alla cui memoria è dedicata la Giornata della Ricerca dell’8 novembre. Il Premio «Lombardia è Ricerca» promuove le menti inquiete che sanno di non sapere e dunque sono aperte all’inatteso.