Corriere della Sera, 27 ottobre 2024
Verdone conduce Sanremo per finta
Roma – Carlo Verdone direttore artistico e conduttore del Festival di Sanremo. Ma solo per fiction. Nella terza stagione della serie Vita da Carlo – ieri in anteprima alla Festa di Roma, dal 16 novembre su Paramount + – accetta una proposta che avrebbe dovuto rifiutare che arriva da un’alta dirigente di quella che, per savoir faire , non viene mai chiamata Rai: fare gli onori di casa all’Ariston.
«È l’ultima cosa che farei nella vita, neanche sotto tortura. All’inizio della prima puntata dico che sono stanco e lascio il cinema. E invece questo non lo farei mai». È pronto a tonare sul set. «In novembre inizio a girare la quarta stagione, come era negli accordi, poi, finalmente, torno al cinema con il nuovo film. Sarà corale, posso solo dire questo per ora, niente in comune con la serie». Niente Ariston, dunque. «Non sarei capace di fare il conduttore. Amadeus, Carlo Conti, Bonolis sono bravissimi. Se me l’hanno mai proposto davvero? Molti anni fa sì, come co-conduttore. Un assistente del vicedirettore Salvi, erano i primi anni ‘90». Gestione Baudo. Più di una volta, in compenso, è stato nella giuria di qualità. «Un impegno molto faticoso, non mi sarei immaginato tutte le battaglie che si svolgevano. E ha sempre vinto qualcuno che noi non volevamo...».
Un suo Dream Team in mente lo avrebbe: «Battiato, Battisti, un Celentano più giovane, quello di Mondo In Mi7 era veramente all’avanguardia, Mia Martini, non si può lasciarla fuori, Mina, Iva Zanicchi, ma che gran bella voce. Dei giovani? Faccio fatica a memorizzarli, mi sembra ci sia molta omologazione, in troppi cantano con l’autotune. Mi sembra che uno come Ultimo abbia qualcosa da dire, Elisa mi piace».
Il sogno a occhi aperti lo svela anche nella serie. «Se fossi stato veramente il direttore artistico di Sanremo avrei fatto uno sforzo disumano per avere Paul McCartney. Un sogno impossibile, chissà?». In compenso gli hanno detto sì, per finzione scenica, un bel po’ di guest star: Morandi, Zucchero, Nannini, Motta, D’Angelo («volevo fargli fare un pezzo un po’ contaminato con l’elettronica, alla Massive Attack, lui si è tenuto più sulla world musica»). «Sono stati tutti carini. A differenza di tanti miei colleghi che neanche rispondono: in Italia convincerli a fare la guest star è un terno al lotto. Solo Muccino mi ha detto di sì». Tra le new entry del cast, Maccio Capatonda («faccio una versione borderline di me stesso, il vicino di casa molesto»), Ema Stokholma (che fuor di finzione collabora al Sanremo di Carlo Conti), Giovanni Esposito («È una specie di Lucio Presta della situazione»). Il team di scrittura è sempre lo stesso: Verdone, Guaglianone e Menotti. «È sempre più difficile far ridere, la gente è più triste e è difficile non colpire la suscettibilità di qualcuno». Sarebbe pronto a ridere di tutto Verdone, salvo che della sua squadra del cuore. «La Roma? Ma cosa si può dire ancora? C’è un mosaico di fondo che combacia». Meglio tornare al festivalone. Lo guarderà il prossimo febbraio? «Certo. Se non altro per vedere come avrei potuto farlo io»