Corriere della Sera, 27 ottobre 2024
Il problema del debito pubblico
Secondo l’ultimo Fiscal Monitor pubblicato dal Fmi qualche giorno fa, nel 2024 il debito pubblico globale supererà i 100.000 miliardi di dollari, pari al 93% del Pil globale. Gli analisti ritengono che il tetto del 100% sarà presto superato.
L’Italia, come sappiamo, è tra i Paesi con il debito pubblico più alto, attorno al 135% del Pil. Ma a livello planetario pesa soprattutto il debito degli Stati Uniti che – con un deficit che quest’anno è arrivato al 6,5% – nel 2025 raggiungerà il 100% del Pil.
Le ragioni di questi dati sono chiare: gli Stati spendono più di quello che dovrebbero per cercare di sostenere l’economia, come condizione per garantire stabilità politica e consenso elettorale.
Naturalmente ci sono grandi differenze sulla qualità della spesa pubblica. E tuttavia, non appena affianchiamo al dato sul debito pubblico quello sulla distribuzione del reddito (con 10% della popolazione mondiale assorbe il 52% del reddito globale) vediamo che la capacita della spesa pubblica di svolgere la sua funzione principale – stimolare l’economia e tenere coesa la società – risulta, nel complesso, incerta. E se ci si può consolare osservando che l’Europa ha livelli di disuguaglianza nettamente più bassi rispetto alle altre regioni del mondo (compresi Usa e Cina) rimane il fatto che la ricchezza prodotta continua a essere mal distribuita anche da noi (e, tra l’altro, l’Italia va peggio di molti altri Paesi Ue).
Il Fmi mette in guardia che non affrontare il tema di una correzione del debito può esporre a shock anche molto gravi. Anche se poi avverte che i margini di manovra sono molto limitati. Diversi fattori interferiscono sulla praticabilità del processo di risanamento: l’invecchiamento della popolazione che comporta costi sociali crescenti; la pressione dovuta all’aumento della spesa per la difesa – viste le tensioni nelle relazioni internazionali; i costi del cambiamento climatico; la gestione della complessa transizione associata alla digitalizzazione. Il che espone l’economia internazionale alla possibilità di crisi anche improvvise che possono colpire i paesi più indebitati: oltre Italia e Stati Uniti, Giappone, Brasile, Francia e Sudafrica.
Ciò significa che ci troviamo in una situazione difficile, che costituisce una minaccia per la stabilità politica. I populismi – sorti dopo la crisi del 2008 – sono infatti cresciuti, sfruttando il malcontento di parti consistenti del ceto medio che faticano a tenere il passo di un mondo che corre avanti sempre più velocemente. La vita costa sempre di più e diventa difficile mantenere in passo: è di questi giorni il dato Istat che parla di 5,7 milioni di italiani in condizioni di povertà assoluta.
Non tutti i Paesi si trovano nella stessa condizione. Soprattutto tra quelli sviluppati, ci sono Paesi che hanno costruito un equilibrio più sostenibile tra indebitamento pubblico e giustizia sociale. Ma ce ne sono altri – e tra questi, per ragioni diverse, Stati Uniti e Italia – dove la contraddizione tra l’alto debito pubblico e la forte disuguaglianza rischia creare tensioni sociali molto forti.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, entrambi i candidati della Casa Bianca non danno peso al problema del debito. I piani di riduzione fiscale di Trump si prevede accrescano il debito di 7,500 miliardi di dollari in 10 anni. Circa il doppio dell’aggravamento di bilancio che si stima sarà prodotto dalle politiche della Harris (stime del Committee for Responsible Federal Budget). Ma gli Stati Uniti sono gli Stati Uniti, e hanno margini di manovra che un Paese come l’Italia non ha.
Per noi è tutto più difficile. Ed è evidente che la nostra ancora di salvezza in questo momento è l’appartenenza europea. Non a caso il rapporto Draghi ha messo l’accento sulla necessità di un debito europeo come leva possibile per rilanciare l’Unione europea. E dare così una mano all’Italia. In una situazione come quella che abbiamo descritto – e che vede l’Europa in ritardo soprattutto dal punto di vista tecnologico – la possibilità di usare la leva Europea, al di là del vincolo dei debiti nazionali, è una occasione da non perdere.
Per l’Italia la politica europea è, da questo punto di vista, assolutamente centrale.
Aldilà degli slogan, la situazione è tutt’altro che semplice. Attraversiamo mari tempestosi, di fronte ai quali è necessaria una cabina di comando salda e ben consapevole dei venti che ci stanno investendo.