Il Messaggero, 26 ottobre 2024
Bozzetto e il suo "signor Rossi" tecnologico
Il signor Rossi ha 64 anni e non li dimostra per niente. Inventato dal genio del milanese Bruno Bozzetto, il padre dell’animazione italiana, l’ometto con i baffi, il cappello e il papillon era nato nel 1960 per rappresentare il cittadino italiano medio, alle prese con i cambiamenti della società nel pieno del miracolo economico. Oggi, dopo sette cortometraggi, tre film, una serie e una miniserie tv, a 46 anni dall’ultima apparizione nel lungometraggio Le vacanze del signor Rossi, quel personaggio sta per tornare. A dirlo è proprio Bozzetto, 86 anni, ieri alla Festa del Cinema di Roma per partecipare a un incontro organizzato da Siae alla Casa del Cinema sullo stato dell’arte dell’animazione in Italia.Chi è oggi il signor Rossi?«È sempre l’uomo comune che affronta con ottimismo, e un certo grado di incapacità, cose più grandi di lui. È un personaggio eterno: come Fantozzi o Omer Simpson».In cosa si imbatterà stavolta?«Con la tecnologia, in continua e veloce evoluzione. Un inferno, non solo per quelli della mia età. Io per esempio ho l’incubo di non riuscire a uscire dai parcheggi. Ora mi trovo in albergo, e per fare qualsiasi movimento, dall’ascensore alla stanza, devo usare un codice. Ho il sospetto che finiranno per trovare il mio scheletro da qualche parte qui dentro».In cosa consiste il nuovo progetto?«Stiamo lavorando al pilota di un film. Il titolo potrebbe essere Il Signor Rossi vs. il digitale o Il ritorno del Signor Rossi, ma non sono convinto».Le IA vi ruberanno il mestiere?«Le IA sono un problema. Siamo su un cavallo selvaggio e dobbiamo guidarlo noi, senza farci disarcionare. Hanno un punto debole: sono potenti nell’offrire risposte ricche e barocche. Ma la semplicità estrema, la sintesi, non la dominano. Ancora».L’animazione italiana a che punto è?«È cresciuta moltissimo e comincia a uscire dal ghetto del prodotto per bambini. È il mezzo di comunicazione più completo. Si può parlare di tutto con i disegni: io ho fatto 100 film con Piero Angela».Che ricordo ne ha?«Il più bello della mia vita, è stato un secondo padre. Mi ha insegnato tantissimo. Fui io a propormi. Gli scrissi dicendo che leggendo un suo libro mi era venuta voglia di illustrarlo. Finii a collaborare a Quark per dieci anni».Oggi chi le piace?«Zerocalcare. È fuori di testa, divertente, vicino al mondo dei giovani. Mi ha colpito come sia riuscito a far uscire il disegno dal fumetto, ottenendo ottimi risultati nell’animazione. La scelta vincente è stata usare la sua voce. Magari il romanesco non lo capiscono tutti, ma il risultato è autentico».Lei lo capisce?«No, l’ho visto con i sottotitoli».Ha girato un solo film dal vero, “Sotto al ristorante cinese", nel 1986, definito “il primo film alla Spielberg del cinema italiano". Perché poi ha smesso?«Non sono un regista di attori, e i continui imprevisti sui set dei film dal vero sono faticosissimi. Mi sono divertito, ma preferisco il ritmo lento dell’animazione».Con il corto “Cavallette", nel 1991, fu nominato all’Oscar. Che ricordi ne ha?«Sapevo di non vincere. Nella mia categoria c’era Nick Park con due film, Wallace e Gromit e Interviste mai viste, non avevo possibilità».Il museo Disney le ha dedicato una retrospettiva, il figlio del capo della Pixar si è laureato con una tesi su di lei. Mai pensato di restare in America?«Ralph Bakshi, l’autore di Fritz il gatto e Il signore anelli, un giorno mi disse che aveva pronte per me una casa e una macchina, se fossi rimasto a lavorare con lui. Ma io stavo meglio in Italia».Davvero?«La macchina americana mi fa paura, stritola le persone. Diventi un ingranaggio che deve solo produrre. Non me la sentivo. Io mi considero un artigiano».L’Italia le ha restituito tutto questo amore?«Ultimamente c’è più interesse. Ma ai miei tempi no. Facevo i miei film pensando all’estero. Mi sentivo solo».Se non avesse fatto il disegnatore?«Ho studiato legge, forse avrei fatto l’avvocato. O avrei lavorato nella ditta di papà, che produceva chimici per il tessile. Devo ringraziarlo: non aveva idea di quale fosse il mio lavoro, ma mi aiutò tantissimo».Ha un desiderio che non ha ancora realizzato?«Vorrei continuare ad avere tante idee, anche se oggi è sempre più difficile. Siamo bombardati da stimoli e immagini, continuamente. Sa cosa diceva Piero Angela? Che noi esseri umani stiamo viaggiando alla velocità del suono su un aereo supersonico: ma la nostra mentalità è ancora quella di chi va in bicicletta».