Libero, 26 ottobre 2024
I presunti diari di Sinwar e l’intervista di Barghouti
Nessun ostaggio sarà rilasciato a breve: no, dunque, anche a un accordo parziale che preveda la liberazione di soli alcuni fra i sequestrati. Delle 250 persone rapite il 7 ottobre 2023 da Hamas nel sud d’Israele, 101 restano ancora nelle mani dei terroristi (ma almeno 34 sarebbero già morte). Fra loro si contano donne, anziani e bambini: le condizioni disumane della loro prigionia – chi ne è uscito vivo ha riportato danni fisici e psicologici molto gravi – fa temere per la loro sopravvivenza. «Ma se Israele pensa di ottenere alcuni ostaggi in cambio di qualche giorno di calma, senza impegnarsi a porre fine alla guerra e a ritirare le proprie truppe, Hamas non ci sta: queste proposte non soddisfano le nostre richieste di base». Parole pronunciate da Osama Hamdan, riconosciuto quale esponente senior del gruppo del terrore, nel corso di un colloquio con al-Mayadeen, un canale satellitare libanese affiliato a Hezbollah.
DISPOSIZIONI
Hamdan ha parlato mentre il capo del Mossad, David Barnea, tornava dal Cairo dove ha incontrato venerdì Hassan Rashad, il nuovo capo dei servizi di intelligence dell’Egitto e prima di un incontro domenica a Doha con il capo della CIA, William Burn, alla ricerca di una tregua a Gaza. Hamas cerca dunque di alzare la posta attenendosi, anche dopo la sua morte, alle disposizioni di Yahya Sinwar, l’architetto del pogrom e dei rapimenti del 7 ottobre, eliminato il 16 ottobre. L’importanza degli ostaggi è centrale nella sua strategia. Il quotidiano palestinese Al-Quds ha pubblicato tre documenti attribuiti a Sinwar. Nel primo, il capo di Hamas detta una regola: «Prendersi cura della vita dei prigionieri nemici e tenerli al sicuro, poiché sono un’importante merce di scambio nelle nostre mani». Considerato che sei ostaggi rinvenuti dai militari israeliani in un tunnel di Gaza mesi fa erano stato uccisi a bruciapelo e una delle donne pesava 36 chili, non è chiaro a quale tipo di «cura» si riferiva Sinwar, uno che per inciso si era ammalato di tumore al cervello ed è stato curato dagli israeliani mentre era detenuto.
Nelle tre pagine ci sono anche dettagli su 71 ostaggi, tra cui nomi, età e sesso, in particolare delle prigioniere più anziane. Il secondo documento include dati su 112 ostaggi senza nome detenuti in tre aree: Gaza City (14), il centro della Striscia (25) e Rafah (51). Un quarto gruppo di 22 ostaggi è elencato senza una posizione. Il terzo documento include un elenco di undici ostaggi donne che sono state rilasciate all’inizio della guerra, la maggior parte durante la tregua di novembre, durata una settimana.
Oggi Hamas non mette in discussione l’eredità politica di Sinwar: anzi, dell’ex numero uno del gruppo terroristico, principale responsabile della guerra distruttiva che Israele ha scatenato per sradicare Hamas da Gaza, è cominciato un processo di beatificazione. Ne ha tessuto le lodi l’esponente di Fatah Mustafa Barghouti definendolo «eroe, martire, Che Guevara palestinese». Toni apologetici per nulla scalfiti dal curriculum di morte di Sinwar, odiato dagli israeliani quale autore di numerosi attentati contro i civili e temuto a Gaza per aver ucciso personalmente, ora strangolandoli ora seppellendoli vivi, altri palestinesi sospettati di collaborare “con i sionisti”. La sua fine da “martire”, ha ancora spiegato Barghouti intervistato da Sky News, non indebolisce Hamas, un’organizzazione ormai abituata a vedersi decapitata dagli israeliani e per questo motivo capace di lottare anche senza testa.
«UN EROE»
E ancora, ha insistito l’ex mediatore fra Hamas e Fatah, «oggi gli abitanti di Gaza non sono più arrabbiati con Sinwar. Ora incolpano solo Israele per le devastazioni della guerra. Anche coloro che erano contrari all’attacco del 7 ottobre e non simpatizzavano con il suo estremismo, ora lo vedono come un eroe morto combattendo l’occupazione».
Le parole di Barghouti sono un inno di propaganda antisraeliana, soprattutto quando nell’intervista spiega che l’ostacolo a una tregua con lo stato ebraico non era Sinwar – che pure voleva distruggere Israele – «ma Netanyahu». Su un punto però Barghouti dice il vero: quando sostiene che Hamas non ha bisogno di un leader. Tant’è che il gruppo del terrore avrebbe deciso di non sostituire Sinwar – che a sua volta rimpiazzava Ismail Haniyeh, anch’egli eliminato da Israele – ma di dare il potere a un direttorio di cinque persone, almeno fino al prossimo marzo. Una garanzia in più in caso di nuovi omicidi mirati da parte di Israele.