Libero, 26 ottobre 2024
La vita di Turetta in carcere
«Sì... mmmmm». Pausa. «Non so, eeeehhhhh». Pausa. «Mmmmm, boh, forse non lo so bene, forse per... mmmmm non so ehhh cioè non...». Pausa.
Che sia una domanda sul perché ha acquistato lo scotch o su quando ha messo in auto i coltelli, Filippo Turetta – sguardo rivolto sempre in basso, tono di voce monocorde e calma apparente – ogni volta prende tempo e indugia, prima di rispondere e raccontare come e perché ha ucciso la fidanzata Giulia Cecchettin, 22 anni, ammazzata l’11 novembre 2023 con 75 coltellate a Fossò, in provincia di Venezia. E quando Filippo tergiversa – davanti al pm, agli avvocati, al padre di Giulia e alle telecamere della tv presenti all’udienza in Corte d’assise (è accusato di omicidio volontario premeditato, crudeltà e legame affettivo, sequestro di persona, occultamento di cadavere e porto d’armi) – viene d’istinto indignarsi, infuriarsi. E la rabbia sale pensando al drammatico femminicidio, alla premeditazione, alla fuga, alla povera vittima innocente (brillante studentessa universitaria) prima aggredita e poi uccisa e soprattutto a lui, il “mostro”, che ora come mai tutti vogliono spiare, ascoltare, giudicare. Punire. E il fatto che appaia rallentato nel rispondere (come se poco lucido, ma in carcere non prende alcun medicinale), insicuro e confuso si scontra con l’immagine che ci siamo fatti finora di un assassino cinico e determinato che programma tutto, agisce con sadismo, depista, fugge.
CI È O CI FA?
Insomma, Filippo Turetta ci è o ci fa? Sta recitando? Perché si comporta così? Punta, come succede spesso in questi casi, a una perizia psichiatrica? Quanto è cambiato in questo anno e, se è cambiato, in cosa? In realtà l’atteggiamento evidenziato all’udienza di ieri non si discosta di molto dalla quotidianità del ragazzo, rinchiuso nel carcere di Verona dallo scorso 26 novembre (fino a ieri non era mai uscito) e, dopo una prima fase passata in infermeria, ora in una cella doppia insieme con un detenuto italiano di 45 anni.
Filippo, che non è certo un tizio spavaldo, è stato così fin da quando lo hanno arrestato in Germania e portato in Italia: criptico, silenzioso, introverso, sempre sulle sue senza mai dare confidenza a nessuno. I primi periodi della detenzione, anzi, era terrorizzato dal contatto con gli altri reclusi, che cercava di evitare in ogni modo. Soprattutto, era chiuso nel suo mondo in modo quasi autistico e l’idea di essere visto all’esterno lo mandava nel panico, era preoccupato del fatto che le tv e i giornali mostrassero il suo volto, le sue fotografie, e la gente lo giudicasse. Tipico atteggiamento – spigano gli psichiatri – di chi ha un crollo narcisistico, dopo che l’immagine di sè personale e pubblica è frantumata, e non regge la frustrazione, ma tuttavia non si preoccupa per il dolore che ha provocato agli altri ma soltanto di se stesso.
Qualcosa, però, in questi 11 medi di reclusione, è cambiato in Turetta, e lo si è capito ieri. Da cosa? Dalle telecamere presenti in aula durante l’interrogatorio. Sì, perché è stato proprio Filippo – che non aveva presenziato alla prima udienza dello scorso 23 settembre – a firmare la liberatoria per consentire le riprese video, dandosi in pasto alla curiosità e alla morbosità della gente e accettando il confronto e la prima, impietosa, sentenza popolare.
Chi lo conosce è rimasto stupito, sorpreso, ricordandosi che appena entrato in carcere ripeteva «ho fatto quello che ho fatto, condannatemi con il carcere a vita ma non esponetemi al giudizio delle persone», immaginando come un incubo il giorno in cui avrebbe dovuto presenziare in aula.
E invece, no, alla fine il killer di Giulia ha cambiato idea e, forse, in questo sua decisione di metterci la faccia pubblicamente potrebbe nascondersi una presa di responsabilità, o almeno l’inizio di un percorso di questo genere. Che non cambia nulla nei confronti della giustizia e della pena, non cancella l’orribile delitto dell’assassino Turetta e non riporta in vita Giulia, ovviamente, ma che forse potrebbe aiutare il ragazzo Filippo nella futura vita dietro le sbarre, visto che il carcere in Italia, per fortuna, ha ancora obiettivi di rieducazione e riabilitazione del detenuto.
INCONTRI CON LA BAND
La fase di cambiamento di Filippo, in questi mesi trascorsi nella casa circondariale “Montorio” di Verona (dove non ha mai avuto trattamenti particolari), è stato graduale, ma evidente. Il ragazzo, che inizialmente si isolava da tutto e tutti e non accettava dialoghi se non per rispondere – con grande calma, come ieri in tribunale – alle domande che gli venivano rivolte dal personale penitenziario, poco a poco ha iniziato a socializzare e ha provato a uscire dalla sua ermetica chiusura emotiva. Lo ha fatto, la prima volta, lo scorso 18 maggio, quando Papa Francesco ha incontrato 600 detenuti del penitenziario: tra di loro c’era anche lui. Poi, negli ultimi due mesi, il 22enne si è aperto ulteriormente. Ha cominciato a frequentare con regolarità la palestra del penitenziario (ora è più fisicato) ed è entrato in contatto con la band del carcere (i “Bianchi per caso”): ha assistito alle loro prove, li ha ascoltati, incontrati e poi ha iniziato a prendere lezioni di musica per imparare a suonare la chitarra. E, proprio con loro e con alcuni altri detenuti, lo scorso 25 settembre ha partecipato all’incontro con Claudio Baglioni nella cappella dell’istituto, durante il quale l’artista ha cantato i suoi brani più famosi in coro con i reclusi.
Sì, insomma, a distanza di quasi un anno dall’ingresso in carcere Filippo Turetta ha iniziato ad abbassare il muro che aveva messo davanti a sé per nascondersi e isolarsi dal mondo. Ieri in tribunale ha affrontato per la prima volta lo sguardo del padre di Giulia e poi ha accettato di essere ripreso dalle telecamere. Ora, almeno, ci mette la faccia.