il Giornale, 25 ottobre 2024
Edward N. Luttwak: ora colpire Khamenei
In tutte le guerre tra Israele e gli Stati arabi dal maggio 1948, e nel quadro della più ampia contesa tra ebrei e palestinesi, il mondo ha assistito a guerre, violenza e innumerevoli manifestazioni di odio, mentre sono rimasti nell’ombra i limiti autoimposti ma rigorosi che ciascuna parte ha rispettato per scelta unilaterale – stabilendo così, inconsapevolmente, le basi per i successivi trattati di pace e per la coesistenza pacifica di ebrei e arabi in Israele. Per cominciare, dalla guerra del 1948 a oggi Israele non ha mai cercato di assassinare un leader politico arabo, né alcuno Stato arabo ha cercato di assassinare un leader politico israeliano. Diversi leader arabi sono stati uccisi da altri arabi e Israele ha perso un primo ministro a causa di un fanatico ebreo e un ministro a causa di un assassino palestinese solitario, ma il divieto autoimposto dell’assassinio di Stato regna sovrano. Arafat ha iniziato come un terrorista eminentemente bersagliabile, ma è diventato un leader politico riconosciuto nel luglio 1982, quando al cecchino israeliano che lo aveva nel mirino a Beirut nel 1982 fu ordinato di desistere. Nella guerra del 1948, sia l’esercito egiziano sia la Legione Araba della Giordania, con sede in Gran Bretagna, catturarono combattenti ebrei di entrambi i sessi. Essi ricevettero il trattamento previsto dalla Convenzione di Ginevra, se non immediatamente almeno non appena gli ufficiali arrivarono sulla scena, invece di essere torturati, uccisi, violati o tenuti come ostaggi (...)
(...) per estorcere concessioni, come sta facendo Hamas, appena decapitato, fino ad oggi.
Questa moderazione è stata ricambiata dall’esercito israeliano su scala molto più ampia nel 1967 con i prigionieri egiziani e giordani, con i primi che hanno subìto solo un breve abbandono nel deserto del Sinai nel 1967, perché superavano di gran lunga i loro rapitori israeliani, che non avevano abbastanza cibo o acqua con loro. Nel 1973 l’esercito egiziano catturò dei prigionieri lungo il Canale di Suez, trattandoli ancora una volta in modo umano. In seguito, i prigionieri sono stati rapidamente scambiati senza che nessuna delle due parti cercasse concessioni politiche dall’altra.
Infine, quando gli aerei israeliani furono abbattuti nella guerra di logoramento del 1967-1970 e durante la guerra d’ottobre del 1973, alcuni piloti che si lanciarono con il paracadute furono uccisi dagli abitanti dei villaggi, ma tutti quelli che sopravvissero fino all’arrivo delle autorità furono trattati umanamente, anche se le regole di Ginevra non furono rigorosamente seguite (ad alcuni piloti prigionieri per tre anni fu persino concesso un grammofono, con dischi israeliani acquistati per loro dall’addetto aereo dell’Egitto a Roma).
L’esercito siriano, anch’esso in perenne e micidiale lotta interna da un colpo di Stato all’altro, uccise alcuni dei pochi israeliani catturati nella guerra del 1973, ne maltrattò altri e non li restituì senza ottenere concessioni, ma in tutto questo fu un’eccezione alle norme degli Stati arabi.
Tutto questo è cambiato drasticamente una volta che la teocrazia sciita e persiana dell’Iran è arrivata sulla scena per conquistare il Medio Oriente arabo e in gran parte sunnita, spendendo liberamente i suoi proventi petroliferi
senza curarsi dell’aumento della povertà in patria e superando ostentatamente tutti gli Stati arabi nell’ostilità a Israele, per esempio assegnando ricchi premi a vignettisti di tutto il mondo disposti a deridere l’Olocausto.
Sebbene vestano abiti sacerdotali, i governanti iraniani dalla Rivoluzione del 1979 hanno una mentalità principalmente persiana e imperiale, che disprezza gli arabi chiamandoli «mangiatori di lucertole» che vivono nel deserto, troppo stupidi per accorgersi che nello stesso Iran le comunità ebraiche sono indisturbate, mentre sono scomparse nel mondo sunnita, e che l’Iran come Paese non ha alcuna disputa territoriale con Israele, da cui ha prontamente acquistato armi quando ha combattuto l’Irak.
Fino a quest’anno, l’Iran si è astenuto da attacchi diretti a Israele, mentre ha finanziato e armato tutti i suoi nemici sciiti, dal Libano allo Yemen, in particolare Hezbollah, che ha ricevuto miliardi di dollari in armamenti e altri miliardi di dollari per gli stipendi (una cifra che supera i regali dei trafficanti sciiti libanesi in Sierra Leone e a Ciudad del Este, in Paraguay). Anche gli Houthi dello Yemen, che l’anno scorso sono saliti all’onore delle cronache attaccando navi nel Mar Rosso e lanciando alcuni missili balistici contro Israele, ricevono tutte le loro armi dall’Iran, oltre al denaro per pagare gli stipendi: gli uomini possono essere fanatici, ma devono comunque sfamare le loro famiglie nell’estrema povertà dello Yemen.
Lanciando centinaia di missili balistici contro Israele, ciascuno delle dimensioni di un’autocisterna, in due offensive che avrebbero potuto uccidere decine di migliaia di israeliani se non fosse stato per gli onnipresenti rifugi e le difese uniche al mondo, il regime iraniano ha superato tutte le possibili linee rosse.
Solo un attacco al regime stesso può essere una risposta adeguata, soprattutto perché le recenti elezioni presidenziali hanno dimostrato con evidenza che il regime è osteggiato da oltre il 70% della popolazione, mentre le sue ingenti spese «per la Palestina» sono denunciate a gran voce in ogni manifestazione (e nell’anonimato degli stadi di calcio con le urla della folla). Inoltre, l’inflazione che dilaga a macchia d’olio (un dollaro compra oggi 63.550 rial) fa sì che chi vive di stipendi faccia la fame a metà mese.
Tutto ciò significa che se la rappresaglia di Israele riuscirà a indebolire seriamente le Guardie Rivoluzionarie, che esistono per imporre il dominio degli Ayatollah a una popolazione sempre più anticlericale e persino antireligiosa, potrebbe scoppiare una rivolta popolare, almeno a Teheran e nelle province dove le elezioni hanno appena rivelato ampie maggioranze anti-regime.
Israele non ha grandi bombardieri, ma con estrema precisione può distruggere il quartier generale delle Guardie Rivoluzionarie, il più grande quartier generale di Mashad (la città natale dell’ayatollah Khamenei e un focolaio di fanatismo – durante il Covid i devoti leccavano i pomelli delle porte del santuario locale per dimostrare la loro fede) e naturalmente il quartier generale di Thar Allah («Vendetta di Allah») a Teheran.
Lo scopo sarebbe quello di umiliare le Guardie Rivoluzionarie, i cui generali sono soliti dire alla popolazione che Israele è in realtà molto debole e sarà presto distrutto,
dimostrando che non sono in grado di proteggere nemmeno il loro quartier generale.
Posto che neppure gli edifici sono bersagli facili per l’aviazione israeliana, che è vittima, insieme all’aviazione statunitense, dell’incapacità della Boeing di consegnare aerei-cisterna per il rifornimento di carburante, bloccati per anni e anni da continui errori di ingegneria (ci si accontenta di 707 riconvertiti vecchi di 50 anni), l’ayatollah Ali Khamenei, la Guida Suprema dell’Iran, è un bersaglio ancora più difficile.
Qualsiasi precauzione egli avesse preso in precedenza, il protocollo di sicurezza è stato raddoppiato e triplicato quando il Mossad è riuscito a uccidere il leader ufficiale di Hamas, Ismail Haniyeh, all’interno della sorvegliatissima foresteria VIP della Guardia Rivoluzionaria a Teheran, a sua volta situata all’interno del complesso protetto della leadership nazionale della città.
A questa impresa decisamente cinematografica ne è seguita un’altra: l’uccisione da parte dell’aviazione israeliana del fondatore di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ottenuta grazie al lancio molto preciso di tre bombe consecutive da 2.000 libbre rivestite d’acciaio esattamente sullo stesso vettore, che hanno perforato ogni livello del bunker di comando di Nasrallah, presumibilmente segreto e «a prova di bomba», in profondità sotto un condominio di Beirut.
Ormai nessuno si stupisce più della capacità di Israele di fare quasi l’impossibile, ma anche in questo caso l’obiettivo dell’ayatollah Khamenei richiede molte cose: per cominciare, un monitoraggio molto ravvicinato e continuo, improbabile da ottenere senza reclutare un membro della sua scorta, o intercettare le sue comunicazioni a distanza ravvicinata con un’intera serie di postazioni di ascolto locali. Un po’ troppo anche per il Mossad, che qualche anno fa trafugò tre tonnellate di documenti dall’archivio segreto iraniano. In secondo luogo, se rimane in un bunker profondo, con la sola eccezione delle missioni esterne non annunciate, ucciderlo richiederà un carico pesante di bombe, molto difficile da consegnare a una distanza dalla base aerea più vicina che è dieci volte quella da Beirut. E naturalmente quel bunker profondo deve essere prima trovato. Avendo appena ucciso Yahya Sinwar in un incontro casuale – ci sono ancora migliaia di nascondigli per un uomo anche all’interno degli esigui confini di Gaza – forse la fortuna giocherà di nuovo la sua parte, a meno che non si riesca ad organizzare una fotocopia dell’operazione Haniyeh, nella quale le stesse guardie hanno aiutato il Mossad.
Anche in questo caso lo scopo sarebbe quello di smascherare la millantata incapacità del regime, che impoverisce la popolazione iraniana per acquistare armi e pagare le milizie arabe. L’obiettivo è vederlo scomparire, come accaduto per l’Unione Sovietica, dopo aver costretto Israele a difendersi dai vasti eserciti e forze aeree arabe che ha equipaggiato per oltre tre decenni. Ogni regime deve finire, anche la teocrazia assassina dell’Iran.