la Repubblica, 25 ottobre 2024
L’uomo non è al centro dell’Universo
Rappresentiamo lo 0,01 per cento della vita del pianeta contro l’87 delle piante. Eppure il verde sembra destinato all’irrilevanzaNel Quinto secolo a. C. Protagora teorizzava che l’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono per ciò che sono, e di quelle che non sono per ciò che non sono.È di gran lunga l’asserzione più conosciuta dell’intera scuola sofistica e una delle più famose massime filosofiche della storia. L’essere umano è misura (il termine usato da Protagora, métron, “il metro”, è ancora più efficace) di tutte le cose, in quanto è sia il giudice che il criterio di giudizio di ogni scelta: l’uomo è il centro di gravità intorno a cui tutto ruota e al quale bisogna sempre riferirsi, attenendosi ai suoi limiti e criteri. Se dovessimo trovare una singola massima che descriva l’inevitabile antropocentrismo, della nostra specie, nulla potrebbe battere questa sentenza.In ossequio a essa abbiamo realizzato tutto, dalle società alle organizzazioni, dalle città alla maggior parte degli oggetti che utilizziamo traendo ispirazione soltanto dal modo in cui noi stessi – la misura di tutte le cose – siamo congegnati, dimenticando, in questo impeto a realizzare tutto a nostra immagine e somiglianza, le soluzioni che innumerevoli altri organismi, spesso molto più efficaci, robusti e creativi hanno sperimentato per centinaia di milioni di anni. Pensiamo alle nostre organizzazioni: tutte costruite secondo un modello piramidale e gerarchico che ha un “capo” al comando di organi specializzati nell’espletamento di specifiche funzioni. Un organigramma che non riflette altro che il funzionamento del nostro corpo: una testa che coordina le attività e i vari organispecializzati, che le eseguono. L’organizzazione del mondo, dunque, non è che un analogo dell’essere umano.Eppure, noi uomini rappresentiamo solo lo 0,01 per cento della vita del pianeta, raggiungiamo lo 0,3 insieme agli animali; le piante costituiscono, invece, l’87 per cento di tutto ciò che è vivo e il loro modello di organizzazione è quanto di più lontano dal modello animale si possa pensare, prive come sono di un qualsiasi centro di comando e con una struttura del tutto diffusa che garantisce una straordinaria robustezza.Nulla sfugge all’idea generale e inscalfibile di una gerarchia del vivente che vede le piante dividersi l’ultimo posto della piramide con i sassi e gli altri oggetti inanimati. Un’idea antica che da Aristotele in poi ha attraversato allegramente ogni epoca, impermeabile ad ogni nuova rivelazione della scienza. Una gerarchia che si dichiara dappertutto. Dalla Genesi, che non fa menzione delle piante nell’episodio del Diluvio Universale – Due di ogni specie di uccello, di ogni specie di animale e di ogni creatura che si muove sulla terra verrà con te perché sia mantenuta in vita (Genesi 6, 18-21) – quasi che le piante non facessero parte della vita e non fossero necessarie ad una sua eventuale ripresa, ai talebani che vietano nelle loro televisioni le riprese «di ogni essere vivente», dimenticandosi che quella roba verde che copre le colline, e sulla quale non vige alcun divieto, è anch’essa vita. Così anche nella produzione artistica c’è una precisa gerarchia di valori che vede la raffigurazione umana al primo posto, seguita da animali e, quindi, da piante e nature morte. Fatta eccezione per pochissimi celebri casi – i girasoli di Van Gogh o le «incredibili mele e pere di Cézanne» – le opere d’arte più celebrate sono solo raffigurazioni di esseri umani.Passano i secoli e che si tratti di studiare le piante, di dipingerle, di scriverne o di rappresentarle, chiunque sene occupi è destinato all’irrilevanza. Pensate ai magnifici quadri di carattere vegetale di Lucian Freud: se la sua produzione artistica si fosse limitata a questo nessuno lo avrebbe considerato. Fra banane, cardi, pomodori, ciclamini, felci, narcisi, limoni, yucche, ranuncoli e zimmerlinde, Freud ha dipinto splendidamente piante per tutta la durata della sua lunga carriera senza che mai alcuna delle sue opere di ispirazione vegetale abbia mai sollevato alcun interesse.Anche l’urbanistica e l’architettura non sfuggono allo stesso destino di ortodossa aderenza al modello umano. Quando a Le Corbusier viene affidata la costruzione di una nuova città in India, Chandigarh, l’architetto la immagina partendo dal corpo umano: gli edifici più importanti in testa, il quartiere centrale degli affari come cuore, le aree industriali sul fianco orientale e quelle dell’istruzione sul lato opposto, come fossero le due braccia della città. La modernità, tuttavia, viaggia in direzione contraria: al modello piramidale e gerarchico preferisce la diffusione e la decentralizzazione. È Internet, costruito come una rete vegetale, non il singolo computer fabbricato sul modello animale, a spingerci verso il futuro. Wikipedia oggi è la più importante fonte di informazione del pianeta e presenta una maggiore quantità di informazioni e una migliore accuratezza di qualunque enciclopedia cartacea.Le comunità virtuali o la crescente popolarità dei “Wiki” hanno aumentato a dismisura le possibilità di azione diretta delle persone, così oggi la stessa produzione culturale è spesso il risultato di un’azione collettiva da parte di comunità molto più vicine alle organizzazioni delle piante che alle nostre animali.Se guardiamo al mondo vegetale, alla forza delle sue comunità, al mutuo appoggio, alla capacità di comunicazione, alla capacità di resistere, troviamo innumerevoli esempi alternativi al nostro modello. Dal punto di vista della robustezza e dell’innovazione nulla è più moderno delle piante. Forse è tempo che l’uomo comprenda che non è davvero la misura di tutte le cose