la Repubblica, 25 ottobre 2024
Parla Spano: «ono una vittima»
Risponde al telefono e dice di essere «amareggiato. Amareggiato come minimo. Sono addolorato». Francesco Spano mercoledì si è dimesso da capo di gabinetto del ministero della cultura, in seguito a un’inchiesta di Report che ha di nuovo terremotato il dicastero di via del Collegio romano. Ma il motivo del passo indietro, dice, non è questo: «C’è stato un attacco alla mia vita privata e alle mie scelte».Avvocato Spano, da segretario generale del Maxxi, museo nazionale delle arti del XXI secolo, ha assunto suo marito Marco Carnabuci come consulente con un contratto da 14 mila euro. Non le sembra quantomeno inopportuno?«Il contratto non è firmato da me e non sono intervenuto in nessuna fase di valutazione e aggiudicazione della fornitura».Ma lei era comunque segretario generale della struttura, e adesso è accusato di conflitto di interessi.«Si chiarirà tutto quanto prima. Credo che ci sarà a breve una verifica, che anche io ho chiesto in prima persona. Ma ripeto: non ho preso parte alla scelta. È stata aperta una procedura pubblica e se ne è occupato l’ufficio legale».Come poteva non sapere?«È tutto regolare. Sono state presentate tre o quattro offerte da parte di diversi collaboratori già iscritti all’albo della Fondazione e c’è stata una comparazione delle proposte. E poi mio marito lavorava per il Maxxi dal 2018, molto prima che io arrivassi. Era già da tempo un consulente iscritto all’albo».Se è così convinto di non aver agito per interessi personali, perché allora si è dimesso da capo di gabinetto appena nove giorni dopo la nomina fatta dal ministro Alessandro Giuli?«Mi sono dimesso perché non era più possibile lavorare in questo contesto. Un clima non piacevole si era già instaurato non appena il ministro, che ringrazio, mi ha scelto come suo capo di gabinetto».A cosa si riferisce in particolare?Ai Pro vita che hanno raccolto le firme per farla dimettere già quando era stato scelto come vicecapo di gabinetto o alla chat dei dirigenti romani di Fratelli d’Italia in cui viene definito “pederasta”?«Sono finito in un tritacarne politico ingiusto e ingiustificato».Quindi si sente vittima di un attacco omofobo della destra?«Mi sembra evidente che la reazione che si è scatenata e che ha portato alle mie dimissioni vada ben oltre la questione del contratto da consulente».Questa vicenda ha a che fare con la sua omosessualità e vicinanza alle associazioni Lgbtq? Le contestano un finanziamento da 55 mila euro quando, nel 2016, presiedeva l’ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali.«Se io avessi commesso qualcosa di sbagliato sarebbe emerso».Però ai tempi lasciò l’incarico.«Perché anche in quel caso la destra scatenò una bufera contro di me, ma io ho la casella giudiziaria immacolata e la Corte dei conti non ha riscontrato alcun danno erariale».Si aspettava una difesa da parte del governo quando i Pro vita, bottino di voti della destra, le si sono scagliati contro?«Ripeto che sono finito in un tritacarne fuori misura. I Pro vita hanno fatto le loro valutazioni. Io le rispetto. Posso capire le critiche alle mie scelte di vita, non pretendo che tutti la pensino come me o vivano nel mio stesso modo. Ma non mi aspettavo un attacco alla mia vita privata e alle mie scelte. Io sono per educazione, anche per educazione cattolica, una persona tollerante nei riguardi di chiunque».Il ministro Giuli ha parlato di «mostrificazione» che è stata fatta di lei. Condivide?«Questa è una definizione usata dal ministro, non c’è bisogno di aggiungere altro».Ha rinunciato con rammarico all’incarico?«Era un incarico che mi apprestavo a svolgere in maniera seria come ho sempre fatto. Non faccio politica, il mio era un ruolo tecnico, eppure sono finito in una questione politica. Per me è sempre stato un onore lavorare nelle istituzioni del Paese».