Libero, 24 ottobre 2024
Radio Popolare vs. Radio Maria
Scontro di titani sulle onde dell’etere: da un lato «l’emittente indipendente che intende operare in controtendenza, privilegiando la lettura critica della realtà», come si presenta col suo tipico gergo da vecchia assemblea anni Settanta Radio Popolare, la radio della sinistra, qualunque cosa sia. Dall’altra «un dono della Madonna», che non è un’esclamazione ripresa da Renato Pozzetto, ma il modesto, low profile autoritratto di Radio Maria, i cui tre pilastri, lungi dalle controtendenze e dalle letture critiche della realtà, sono, trinitariamente, preghiera, evangelizzazione e promozione umana.
Confessiamo che sono due di quelle radio che, quando scorriamo i canali Fm, saltiamo con grande disinvoltura, perché affrontare il traffico di Roma (città in cui abita chi scrive) e trovare un passaggio tra i pullman turistici sul Lungotevere è già di per sé aspra lotta politica e dura flagellazione religiosa, non si sente bisogno dell’incoraggiamento radiofonico. Ma lasciamo da parte le preferenze personali, per raccontare lo scontro che oppone queste due stazioni che, per quanto diverse, si toccano agli estremi: entrambe impegnate, ideologiche, intransigenti e finanziate in larga parte dal mondo delle associazioni e del volontariato, dispregiando i ricchi pascoli della pubblicità.
La contesa, approdata al Tar del Lazio, riguarda le antenne:
Radio Maria infatti è stata autorizzata a spostarle da un punto a un altro in località Valcava, nel bergamasco, una zona strategica per i centri di trasmissione radiotelevisivi in Italia, coprendendo gran parte di Lombardia (aree metropolitane di Milano e Monza comprese) e Piemonte. Per questo il locale valico è irto di ripetitori tv e radio, ce ne sono circa una trentina. Ma da quando sono stati spostati gli impianti di Radio Maria, i compagni di Radio Popolare sono profondamente seccati: accusano le frequenze mariane di “interferire” con la loro quotidiana razione di pensiero critico, laico e materialista. Effettivamente, basta controllare le frequenze per constatare la vicinanza: 107.600 Mhz per Radio Popolare, e 107.900 Mhz per Radio Maria.
La lite va avanti dal 2018, un anno dopo il trasferimento dei ripetitori di Radio Maria, il cui segnale è stato accusato di essere «troppo forte» (del resto, se è un dono della Madonna, c’è poco da stupirsi). Avanzando una prima istanza al ministero dello Sviluppo Economico, Radio Popolare ottiene un sopralluogo tecnico, che però stabilisce che il trasloco non interferisce con altre frequenze. I compagni non demordono: le frequenze mariane, sostengono, peggiorano la qualità del suono della loro radio. Inizialmente, la nuova postazione di Radio Maria era solo «in via sperimentale», ma quando l’emittente riceve il via libera definitivo, Radio Popolare si arrabbia sul serio. Ricorrendo al suo frasario più caro, parla delle «conseguenze interferenziali», cioè degli effetti dannosi della radio avversaria, che non sarebbero stati valutati correttamente. Addirittura si rimprovera a Radio Maria di avere trasmesso con «modalità tecniche inedite» (un aiutino dallo spirito santo?), di perseguire un interesse privato, di «ingiustizia manifesta» eccetera.
Senonché, i giudici del Tar hanno ribadito la correttezza delle procedure nel trasloco degli impianti di Radio Maria, e affermano che i rilievi di Radio Popolare sono già stati tenuti in debito conto, infine si addentrano in disquisizioni tecniche circa l’impossibilità di interferenze tra impianti che hanno diverse polarizzazioni, l’uno verticale, l’altro orizzontale, e insomma, Radio Popolare deve accettare che, mentre dalle loro parti si discute del marxismo nell’antropocene, dall’altro si levino le Ave Marie.
A noi resta l’impressione che, più che un reale confitto di frequenze – del resto smentito dagli stessi tecnici -, questa storia strapaesana sia l’ennesima dimostrazione del fatto che il nostro paese, per molti aspetti, non abbia mai visto scadere il Novecento e le sue polarizzazioni, non quelle delle onde radio, ma mentali.