Il Messaggero, 24 ottobre 2024
Una trappola per il dandy Giuli
L’egemonia culturale che si trasforma da rivoluzione a farsa. E ieri, alla festa meloniana nella Galleria nazionale d’arte moderna, disillusione, musi lunghi e sconforto tra fratelli e sorelle d’Italia: «Ma proprio un dandy come Giuli ci doveva capitare? Proprio un tizio che suonava il flauto di Pan nei boschi e non capisce che fare il ministro è una cosa diversa e non si agisce con leggerezza? Ma come si fa a mettersi nelle mani di Spano e di Carnabuci?».È ovvio che si sta parlando di Alessandro Giuli. Doveva riportare il ministero della Cultura alla funzione che spetta al Collegio Romano: organizzare la politica dei beni storici, archeologici, spettacolari e musicali con competenza e prospettiva, cancellare gli scandali della “pompeiana”, dare alla destra una vetrina intellettuale e una dignità pensosa di cui la sinistra si ritiene unica depositaria. Viceversa, Giuli non fa che perpetuare il caos, destabilizza e addirittura – espressione ascoltata nel retropalco del comizio di Meloni alla festa alla Gnam, dove non c’era il sottosegretario Mantovano che aveva visto il ministro nel pomeriggio e a modo suo lo aveva strigliato, e del resto i due appartengono a due destre diverse: Ale il dandy a uno strano neopaganesimo, l’ex magistrato Alfredo a un tradizionalismo rigido e poco incline alla visionarietà silvestre e più o meno impalpabile – «si fa strumento dei nostri nemici». Senza contare la magra figura, diventata giù un meme, delle sue linee programmatiche infarcite di paroloni astrusi ed astratti, tanto da fare evocare la famosa “supercazzola” del conte Mascetti in Amici miei. Adesso, con la vicenda Spano, finisce per offrire a Report, che non aspettava altro, l’occasione per dire che la destra procede soltanto per la via dell’amichettismo, anche se – in verità – la trasmissione super-combat di Ranucci prende in parte un granchio perché, come dice Giovanna Melandri, Carnabuci lavorava al Maxxi prima che arrivasse Spano, che poi sarebbe diventato suo marito. Ma Spano conferma il contratto di Carnabuci appena assume la carica di direttore generale e via Spano, una volta diventato presidente del museo romano, Giuli a sua volta conferma Carnabuci.Sta di fatto che, nell’alternanza dei ministri, ne esce male il Collegio Romano. Ossia l’istituzione. Verrebbe da rimpiangere i gesuiti che qui avevano casa e il loro museo allestito dallo stravagante Athanasius Kircher in confronto era un luogo ordinato e non una vetrina rotta. Altro che egemonia culturale, la dinastia “giulia” – da Sangiuliano a Giuli – sembra aver declassato quel ministero che Spadolini, per non dire di Alberto Ronchey, aveva tentato con un certo successo di far diventare il simbolo dell’Italia migliore. Qui siamo, invece, all’«infosefera» – tanto per citare proprio la famosa supercazzola del ministro in carica – che prende il sopravvento in quel luogo che dovrebbe rappresentare il presidio della cultura italiana. Il Collegio Romano è finito in mezzo a una guerra. Prima c’era il capo di gabinetto di Sangiuliano, Francesco Giglioli, di nome Francesco proprio come Spano, che Giuli ha cacciato accusandolo di tradimento per promuovere Spano e i due sono prototipi opposti nel mondo cattolico che entrambi frequentano: Giglioli il teo-con, Spano il cattolico adulto. E oddio, chissà che cosa ne direbbero gli antichi padroni di casa gesuiti al Collegio Romano, che proprio in quelle stanze erano abituati a costruire schiere di classi dirigenti che hanno dominato l’Europa per secoli, e chissà che cosa direbbero dall’aldilà Spadolini e Ronchey dei loro due colleghi giornalisti e successori al ministero: Sangiuliano e Giuli. Ma non tanto questo che conta. Quanto il fatto che, alla festa meloniana di ieri, i Fratelli d’Italia assicuravano che la debolezza di Giuli-Spano in questo frangente non deriva dalle accuse poco edificanti dei movimenti Pro Vita a Spano – per vecchie storie – ma dall’insofferenza che la destra più identitaria sente verso quei due. Considerandoli corpi estranei. E dannosi.Per questo nessuno scommette sulla durata del dandy al Collegio Romano.