la Repubblica, 24 ottobre 2024
La liberazione di Maysoon Majidi
Chissà se Matteo Salvini, mentre rimproverava i magistrati di consentire l’ingresso in Italia a «cani e porci», annoverasse tra questi la gracile figura di Maysoon Majidi, ventottenne artista curdo-iraniana detenuta fino all’altroieri nella cella di un carcere calabrese. E chissà se il leader leghista, tra le sue fantasie canine e suine, proiettasse i tratti del volto e le fattezze del corpo di questa giovane donna che ha raggiunto il peso di trentotto chili, gravata da accuse abnormi. Da qualche ora Maysoon Majidi è tornata libera in attesa della sentenza di primo grado prevista per il 27 novembre, e la sua vicenda merita qualche riflessione.Maysoon Majidi era fuggita dall’Iran dopo essere stata accusata dalla Polizia morale di aver partecipato alle proteste contro il regime. Il 31 dicembre del 2023 raggiungeva le coste italiane a bordo di un barcone. Qui veniva arresta con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare in quanto alcune persone a bordo dell’imbarcazione la indicavano tra i responsabili dell’organizzazione della traversata. Da allora Maysoon Majidi è rimasta reclusa e tutte le sue richieste di accedere agli arresti domiciliari sono state rigettate, nonostante i due testimoni indicati dall’accusa abbiano ritrattato quanto precedentemente riferito a proposito del suo coinvolgimento nel ruolo di «scafista» e le molte contraddizioni evidenziate dall’inchiesta.Infine, nell’udienza dell’altroieri, il Tribunale di Crotone ha deciso la liberazione della giovane. E questo consente di guardare con un certo ottimismo alla sentenza del prossimo mese. Ma perché tutto ciò è potuto accadere? Perché intorno alla questione del traffico di esseri umani e del favoreggiamento dell’immigrazione irregolare si gioca una importante partita ideologico-simbolica.La destra italiana ed europea persegue, e da decenni, l’obiettivo di ridurre i grandi fenomeni migratori a effetto di progetti criminali o di programmi di manipolazione demografica (come la sostituzione etnica ipotizzata dal Piano Kalergi).Così, i movimenti di milioni di esseri umani, determinati da cause antiche di natura economica, ambientale e sociale, vengono ricondotti a macchinazioni delle élite e ad attività di organizzazioni criminali multinazionali. Di conseguenza, i responsabili materiali del traffico di esseri umani diventano i soli colpevoli, anche perché più facili da segnalare, circoscrivere ed esecrare. Nasce da qui l’invettiva, un po’ sgangherata, di Giorgia Meloni: «Andremo a cercare gli scafisti lungo tutto il globo terracqueo» (10 marzo 2023).Questo ha condizionato le politiche migratorie del governo italiano, l’atteggiamento di parte della magistratura e una mobilitazione dell’opinione pubblica che sembra non consentire distinzione tra carnefici e vittime, tra reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare e traffico di essere umani, tra associazioni delinquenziali e azioni dettate dalla condizione di subalternità del migrante in stato di necessità. Scompaiono, così, non solo le cause profonde dei movimenti migratori, ma anche le responsabilità dei paesi di origine e di transito e anche quelle dei paesi di arrivo, dove – è il caso dell’Italia – le possibilità di ingresso legale e sicuro tendono a esaurirsi.La figura del Trafficante le cui condotte sono evidentemente gravissime diventa la Spiegazione di tutto; e lo Scafista assume il ruolo di destinatario della riprovazione morale che finisce con l’assolvere le colpe, spesso ancora più gravi, di quanti su quei flussi migratori lucrano.In questo sistema di manipolazione della realtà sono precipitate Maysoon Majidi e altre centinaia di persone come lei. Per mesi l’immagine dell’artista curdo-iraniana è stata quella di prima della detenzione: occhi di un marrone intenso e capelli mossi raccolti in una coda o lasciati sciolti.Poi, con il passare dei mesi, accanto a queste foto ne sono apparse altre, che ritraevano Maysoon reclusa. Tra le due immagini c’è un disallineamento non solo temporale, ma anche spaziale ed emotivo. Esse raffigurano la stessa persona, ma anche due persone diverse. Perché quello della detenzione è un tempo che incide in profondità sui volti e sui corpi, fino a restituire una immagine del soggetto sbiadita e per certi versi irreale. C’è da augurarsi, ora, che Maysoon, oltre a vedere riconosciuta la propria totale innocenza, possa riuscire a ricomporre quella drammatica scissione