Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2024  ottobre 24 Giovedì calendario

Max Sirena: «Avevo promesso a Bertelli la Coppa America»

Nello sport esistono le missioni impossibili, certo. Ma quella di Luna Rossa a Barcellona non lo era: barca veloce, equipaggio rodato, esperienza da vendere. La sesta campagna di Coppa America, invece, è finita con un buco nell’acqua: kappaò con Ineos nella finale della Vuitton Cup, la selezione degli sfidanti, già sbranata in passato due volte (Auckland 2000 e 2021). Venti giorni dopo il punto del 7-4 che ha mandato gli inglesi in America’s Cup e la Luna a casa, Max Sirena non si dà pace. «Sono devastato, ancora oggi. È la sconfitta peggiore della mia carriera. Non ci dormo: devo capire. Ma, magari, non mi passerà mai più...».Due America’s Cup vinte, con Oracle e New Zealand, però a Max non basta. È con Luna Rossa che vuole conquistare il trofeo più antico dello sport: la missione a cui ha dedicato gli ultimi cinque lustri, l’unico modo per sdebitarsi con l’uomo che per primo ha creduto in lui, Patrizio Bertelli, l’armatore. Se la merita, Sirena, la vecchia brocca. Eppure più la insegue, più lei gli sfugge. Ripartiamo da qui.I kiwi si sono tenuti il trofeo: cos’hanno più degli altri?«Sono più bravi, tanto per cominciare. E poi hanno saputo approfittare di tutti i vantaggi che ha in mano il defender: fa parte del gioco. Vanno studiati, sono un benchmark».Perché Luna Rossa è ancora lontana?«Siamo stati più vicini ai kiwi, rispetto a tre anni fa. Il team ha fatto passi avanti culturali, ha lavorato bene: abbiamo fatto tante cose buone, non va dimenticato. All’inizio della Vuitton, quando li abbiamo battuti, il punto di riferimento eravamo noi».Poi cosa è successo?«Forse nell’ultima fase ci saremmo dovuti concentrare dia di più sulla preparazione pura della regata».Cosa ve lo ha impedito?«Abbiamo fatto una campagna esemplare. Poi, nella finale di Vuitton Cup, è andato male tutto ciò che poteva andare male. Voglio capire. Devo capire. Ancora non ho una risposta. Nello sport, a volte, succede».Se foste arrivati in Coppa America, avreste fatto una figura migliore di Ineos?«Impossibile rispondere: chi lo sa? Però posso dire che gli inglesi avremmo potuto batterli. In quegli otto giorni, è successo di tutto. Abbiamo rotto la randa e le stecche: errore umano del team. Abbiamo sbagliato la scelta della vela di prua: errore umano del team. Non voglio puntare il dito contro nessuno, si vince e perde tutti insieme. La responsabilità, in primis, è mia. Abbiamo perso la Vuitton perché in quella settimana specifica non abbiamo lavorato al nostro meglio. Eppure eravamo carichissimi, non ci siamo mai distratti. Poi c’è anche l’avversario: Ineos in undici regate non ha commesso un errore, non ci ha regalato niente».Cosa dobbiamo aspettarci dalla Luna, ora?«Cambieranno delle cose. Gli Ac75 volanti richiederanno persone sempre più abituate a interfacciarsi con la tecnologia: quindi i giovani. Tra under 25 e ragazze, il nostro bacino è di elevatissima caratura: a Barcellona abbiamo dominato due Coppe».Ruggero Tita e Marco Gradoni timonieri, quindi?«Ruggero e Marco sono due pilastri, ci puntiamo. Ma non ci sono solo loro: Ugolini, Falcone, Molineris... Abbiamo un ampio vivaio a cui attingere. Oltre ai giovani che hanno lavorato bene nell’area tecnica e negli altri settori».Attenzione perché è subito partito il vela-mercato.«Infatti i giovani della Luna vanno difesi dalle sirene degli altri team. I designer sono i primi a subire tentativi di scippo. In questi giorni, a Barcellona, sto parlando con tutti, uno a uno: devo mettere in sicurezza la squadra, confermando le professionalità che ci serviranno».Tornando a Tita, oro a Parigi: un’altra campagna olimpica sarebbe compatibile con una Coppa da timoniere?«Eh, dipende. Se la Coppa sarà nel 2027, a Los Angeles 2028 potrà andare: in un anno il gap con gli altri azzurri del Nacra lo recuperi. Se la Coppa sarà nel 2028, la vedo dura».Cosa sapete del futuro? Le regate di flotta nella Vuitton Cup le piacciono come idea?«La flotta con gli Ac40, nei giovani e nelle donne, ha prodotto regate molto divertenti. Gli Ac75 in flotta sarebbero una figata, però con il giusto equilibrio. Lo spirito della Coppa America deve restare il match race, cioé, uno contro uno. Non va snaturata».Ridurre i ciclisti, ormai, sembra necessario.«Con la tecnologia ci siamo spinti molto oltre, è vero. Se per ottenere più azioni sulla barca significa metterci più velisti e meno ciclisti, togliendo una parte di produzione di energia, mi sta bene».La spinosa apertura alle donne a bordo. Bertelli si è già detto contrario.«La vedo in maniera diversa da Patrizio: in determinati ruoli, e se diminuirà la richiesta di fisicità sugli Ac75, non ho nulla in contrario».Lo scenario dell’Arabia.«Non piace a nessuno. La Coppa deve rimanere in Europa, dove ha tutto: facilità di accesso, fuso, visibilità».La rivedremo al comando della Luna, Max?«Voglio dedicare tempo a me stesso per capire cosa e dove ho sbagliato. C’è una domanda che mi faccio in continuazione: sono ancora la persona giusta per questo lavoro? Perdere lo metto in conto, figuriamoci. Ma c’è una delusione cocente con la quale non riesco a venire a patti».Quale?«Avevo promesso a Bertelli che gli avrei portato la Coppa. Non ho mantenuto la parola».Non è troppo duro con se stesso?«Cercherò di essere onesto, per il rispetto che devo a Patrizio e a chi ha lavorato con me. Sennò si rischia di diventare ridicoli. Cosa avrei fatto di diverso? Non lo so. Ma so che a questa Coppa America ci tenevo davvero tanto».