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 2024  ottobre 23 Mercoledì calendario

Itervista a Claudia Pandolfi


«È un film speciale», dice Claudia Pandolfi tra le lacrime. Il ragazzo dai pantaloni rosa è per lei una missione, l’ha accompagnato al Giffoni Film Festival, ora alla Festa di Roma dove lo vedranno il pubblico e gli studenti di Alice nella città (dal 7 novembre in sala con Eagle).
Andrea Spezzacatena, tre giorni dopo aver festeggiato i 15 anni, si tolse la vita, era il 20 novembre del 2012. Fu chiamato, il suo, il primo caso di cyberbullismo. Ne sono successi tanti altri, dopo. L’ultimo appena una settimana fa, a Senigallia: Leonardo, la stessa età di Andrea, si è suicidato.
Il coinvolgimento emotivo in un film come questo?
«Di quelli che ti tolgono le parole di bocca e ti permettono di attingere a riflessioni profonde. Perché racconta una storia drammatica e dolorosa, però attraverso la luce che c’è stata nella vita di Andrea.
Quello che è accaduto è un eventoviolento, a cui ne sono seguiti tanti altri: un ragazzo così giovane che sceglie la strada del suicidio per non essere riuscito a sopportare qualcosa, che non è neanche facile da definire. C’è tanta vita, in questo film, nonostante ci sia la morte».
Il titolo del film (scritto da Roberto Proia, diretto da Margherita Ferri, ndr) e del libro di Teresa Manes, madre di Andrea, arriva dai pantaloni rossi stinti che Andrea metteva a scuola.
Dopo la sua morte Teresa ha scoperto la pagina di irrisione su Facebook.
«Un elemento importante di questa storia è il silenzio, prima di tutto quello di Andrea che non ha voluto spiegare a sua mamma ciò che era successo. Anche se avevanoun rapporto bellissimo, di grande gioia e empatia. Da fuori sembrava tutto normale ma c’era qualcosa che si è radicato sempre più nel profondo. Un gorgo che ha risucchiato Andrea. Teresa aveva voluto la password del profilo del figlio non per mancanza di fiducia, ma perché è giusto che alcune cose vengano controllate da lontano, rimanendo un po’ borderline nella storia dei nostri figli. È una cosa che tento di fare con mio figlio, ci riguarda molto da vicino se siamo mamme. Grazie a questo ha scoperto l’insospettabile, la derisione totale del figlio che aveva l’unica colpa di essere colorato».
Lei è stata mai bullizzata?
«Ho avuto un’adolescenza positiva, sono stata amata dalla famiglia e da chi avevo intorno. Ma ho cinquant’anni, a quei tempi non c’era internet, i social, i cellulari li avevano solo gli uomini d’affari.
Probabilmente questa roba esisteva ma più sopita, facile da insabbiare. Oggi è tutto esplicito, non abbiamo scuse».
Il problema del silenzio non è solo di chi il bullismo lo subisce, ma di chi vi assiste, che deve riconoscerlo, denunciarlo.
«Ciò che disturba è la complicità del silenzio, come se certi comportamenti fossero scontati, come se tutti avessero paura di affrontare le cose. Si ricorre alla frase fatta “se non riguarda me non mi sfiora, non mi interessa”. Invece oggi è decodificato, possiamo riconoscere subito dove si sta andando».
I bulli possono essere i nostri figli.
«A me è successo. E appena ho sentito l’odore, il comportamento che poteva portare i miei figli a sbagliare in quella direzione, diventare portatori del male, ho immediatamente fatto qualcosa.
Perché sono stata, in prima persona, disturbata. Non era un fatto grave, ma per me era qualcosa che poteva trasformarsi in mostruoso. Così ho preso mio figlio, non dico quale per non metterlo in imbarazzo, l’ho guardato negli occhi e i miei erano pieni di lacrime. Avergli parlato in maniera così onesta ha fatto sì che il giorno dopo cambiasse del tutto atteggiamento nei confronti di quel bambino. Il giorno dopo, era protettivo: non aderiva più a quella specie di scherzo goliardico che stava facendo insieme ad altri. Gli ho fatto capire che quello che stava accadendo era profondamente sbagliato, per tutti gli attori di quella messa in scena. E ha compreso ciò che poteva aver provato il ragazzo».
Il suo incontro con Teresa come è avvenuto?
«In un pomeriggio piovoso. Avevo paura, mi sono sentita investita da una responsabilità enorme. Poi mi sono detta: tu fai l’attrice. Abbiamo parlato, pianto, riso. Quel che può succedere tra due mamme che si incontrano e hanno da dirsi delle cose, e la storia di una è talmente forte da coinvolgerti su tutti i fronti. Ho cercato di essere generosa, autentica, rispettosa.
Sono stata con lei».