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 2024  ottobre 23 Mercoledì calendario

Intervista a Matteo Piantedosi

«Rimpatri, non ci si può fermare
E avanti con i centri in Albania»
di Fiorenza Sarzanini
Il ministro dell’Interno: i nostri poliziotti apprezzati nel mondo, su di loro parole incredibili

Ministro Piantedosi, mentre è ancora alto il livello dello scontro tra governo e magistrati sui rimpatri, sotto accusa finisce la polizia.
«È incredibile che una organizzazione internazionale che dovrebbe tutelare i diritti umani, promuovere l’identità culturale europea e la ricerca di soluzioni ai problemi sociali in Europa possa fare simili affermazioni, del tutto destituite di fondamento».
L’Ecri, commissione del Consiglio d’Europa, chiede di cambiare le regole di identificazione per rom e cittadini africani. Non seguirete l’indicazione?
«Le nostre forze di polizia sono apprezzate in Italia e nel mondo quali baluardi della democrazia, della difesa dei più deboli e della vicinanza ai problemi quotidiani dei cittadini. Questa è la linea».
E sui rimpatri crede che la linea tracciata per decreto basterà a chiudere la polemica?
«Noi riteniamo che aver fissato con norma primaria l’elenco dei “Paesi sicuri” possa contribuire a una maggiore certezza applicativa di procedure importanti».
Molti giuristi ritengono invece che i magistrati potranno continuare a ritenere i Paesi non sicuri e comunque giudicare caso per caso.
«Ogni magistrato ha autonomia e indipendenza nelle decisioni che assume, ma ogni pronuncia può essere impugnata innanzi alle magistrature superiori».
Lei ha detto che le procedure seguite dall’Italia anticipano di un anno la normativa che entrerà in vigore in Europa. Non era meglio aspettare?
«È il nodo centrale della discussione. La nuova regolamentazione, che potrebbe entrare in vigore prima del giugno 2026, renderà obbligatorie le procedure accelerate alla frontiera e prevederà criteri molto più diretti di qualificazione dei “Paesi sicuri” legandoli al numero di domande di asilo accolte in tutta l’Unione europea. L’entrata in vigore di queste regole rafforzerà sicuramente la nostra capacità di contrastare il traffico di esseri umani senza limitare in alcun modo il diritto d’asilo. E sarà il completamento delle politiche finora adottate dal Governo che ad oggi hanno permesso di ridurre del 61% gli sbarchi rispetto al 2023 e del 29% rispetto al 2022».
Avete presentato ricorso in Cassazione contro l’ordinanza del tribunale civile di Roma. Invece di forzare la mano con un decreto, non sarebbe stato opportuno seguire solo la via giudiziaria?
«Le due strade non sono alternative. Il ricorso sarà l’opportunità per sottoporre alla Suprema Corte una interpretazione univoca della normativa vigente. Ma crediamo sia tutt’altro che inutile intervenire sull’attuale regolamentazione per chiarire alcuni profili interpretativi».
Ma se gli sbarchi sono diminuiti qual era l’urgenza?
«Come ho già detto la scelta di individuare per legge l’elenco dei “Paesi sicuri” si inquadra nell’ambito del rafforzamento del sistema dei rimpatri, proprio per completare l’azione proficua che stiamo svolgendo per contrastare le partenze irregolari. Rammento che tale rafforzamento è un obiettivo richiesto dalla stessa Unione europea. Lo ha sottolineato anche la presidente von der Leyen in una lettera ai capi di Stato e di governo quando ha parlato della necessità di “continuare a esplorare possibili strade da percorrere per quanto riguarda l’idea di sviluppare hub di rimpatrio al di fuori dell’Ue”, evidenziando peraltro che, con “l’avvio delle operazioni previste dal protocollo Italia-Albania, potremo anche trarre lezioni da questa esperienza pratica”».
Lei davvero ritiene che i 19 Stati siano tutti sicuri?
«L’elenco dei “Paesi sicuri” non si fonda su elementi opinabili ma su precisi parametri nonché su informazioni acquisite da organizzazioni internazionali. Se volessi risponderle con una provocazione, potrei dirle che l’Italia non rimpatria persone in Afghanistan, come pure fanno altri Paesi europei di cui non è in dubbio la vocazione al rispetto dei diritti fondamentali delle persone».
Condivide la linea del governo di attacco alle toghe?
«Io non credo si possa dire che ci siano stati attacchi da parte del governo. Se può essere legittimo e comprensibile che i magistrati liberamente esprimano le loro opinioni, soprattutto nell’ambito dell’attività associativa, credo che analoga prerogativa non possa essere negata alla politica che, per definizione, si caratterizza per libertà di espressione. Per quanto mi riguarda, da ministro dell’Interno, ritengo importante che ogni possibile obiezione ai contenuti degli atti giudiziari sia effettuata attraverso le impugnazioni».
In questo caso gli attacchi sono stati personali, senza peraltro riconoscere che il sistema dei rimpatri è in affanno, visto che molti Stati non accettano il ritorno a casa.
«I rimpatri stanno già progressivamente aumentando. Nella maggior parte dei casi riguardano persone che si sono contraddistinte anche per atteggiamenti pericolosi. Rafforzare il sistema dei rimpatri, come ho detto, è un obiettivo che ci viene assegnato dall’Europa, oltre che una forte aspettativa dei cittadini. Per ciò che riguarda gli ingressi regolari, che condivido essere altra cosa, questo governo ha adottato provvedimenti concreti come mai nessuno in precedenza, programmando l’arrivo di 452.000 lavoratori in tre anni».
Ma allora che bisogno c’era di creare centri in Albania che hanno costi altissimi?
«Le nuove regole europee richiedono all’Italia di organizzarsi per l’accoglienza e il trattenimento di diverse migliaia di persone. Rinunciare all’opportunità di 880 posti che, in prospettiva, potranno offrire i centri in Albania sarebbe stato illogico. Quando il sistema andrà a pieno regime, la conseguente deterrenza sulle partenze irregolari determinerà un significativo risparmio sugli attuali costi dell’accoglienza».
Con lo stesso investimento non sarebbe stato meglio creare hotspot in Tunisia o in altri Stati di provenienza?
«Sono soluzioni non alternative tra di loro, ma per essere realizzate necessitano della disponibilità dei Paesi che li ospitano».