La Stampa, 22 ottobre 2024
Storia di Efesto, dio trovatello adottato e allevato da due ninfe
Teti passeggiava sulla sabbia dei fondali. Si guardava intorno distraendo il tempo, che per gli dèi non scorre, e ogni tanto accennava un passo di danza, o coglieva un’infiorescenza bizzarra e la lasciava andare, per vederla volteggiare in acqua e subito posarsi sul fondo. Agli eterni piace quel che non dura, lo spazio di un breve volo. Viveva negli abissi, in una grotta dorata insieme alla dea Eurinome. Più lontano c’era il palazzo di suo padre Nereo, che tutti chiamano il Vecchio del mare perché ha governato il mare prima che Poseidone lo spodestasse. Teti è una delle cinquanta figlie di Nereo. È la più bella delle Nereidi, ma non vuole unirsi con nessuno, nemmeno con Zeus o Poseidone. Entrambi la desiderano. La blandiscono con parole e doni, e più volte l’hanno insidiata. Lei però possiede un’arte potente, che ha ereditato dal padre: l’arte di trasformarsi, di rendersi imprendibile. Quando è in pericolo, cambia forma. Per non diventare preda, lascia la sua bellezza. Si fa momentaneamente belva feroce o mostro spaventoso, e l’incubo di cedere alla violenza di un amante si allontana. Passeggiava. E a un certo punto si ritrovò davanti ai piedi qualcosa, che non era pesce o medusa o alga: era un corpicino nudo, quasi inerte, gli occhi spalancati. Mancò poco che lo calpestasse. Un bambino adagiato sul fondo del mare. Lo prese con sé, senza esitare, portandolo tra le braccia. Camminando veloce verso casa, solo allora, si chiese chi poteva essere, chi lo avesse portato lì, di chi fosse figlio. Ma sapere non era necessario, anzi, avrebbe frenato la spontaneità del gesto, che non era una decisione ma un istinto, un impeto senza ragione. Se quel bambino era sui suoi passi, voleva dire che stava dentro il suo destino, tanto bastava. Anche gli dèi hanno un destino, una linea disegnata in aria che non vedono ma sanno – non c’è scampo – di dover seguire. Eurinome stava cantando, quando Teti varcò la soglia della grotta dove abitavano insieme. Un velo le circondava il corpo, variegato di tutte le possibili sfumature del blu. È alta, possente, e la sua voce si sparge per gli anfratti sottomarini, viaggia per gallerie e cunicoli, s’inabissa nelle vallate più inaccessibili e soffia tra le piante algose. La sua è la voce della figlia del dio Oceano, la musica del mare. Quando vide Teti con il bambino in braccio, interruppe il canto e, senza chiedere nulla, si chinò a guardarlo. – È deforme. – È vivo, – sorrise Teti. Sorrise anche Eurinome: – È un dio. Lo vedi anche tu che è un dio. Il bambino squarciò il silenzio degli abissi con un pianto disperato, Teti lo distrasse con un ramo di corallo. È vero, soltanto un dio avrebbe potuto attraversare migliaia di metri d’acqua e depositarsi sul fondale. Nessun altro essere vivente che non fosse pesce avrebbe potuto, e lui non era pesce, respirava normalmente. Come un dio sottomarino. «Sì, di certo è un dio, – rispose Teti, – ma noi non possiamo saperlo, possiamo solo intuirlo. E le intuizioni non sono verità: sono segreti. Quindi non lo diremo a nessuno, e questo bambino, dio o non dio, semplicemente non esisterà». Le due dee erano d’accordo: quel bambino era un dono. Lo chiamarono Efesto, colui che rischiara il giorno. Che portasse con sé buona sorte o sventura contava poco, a loro era stato dato e per loro era la luce. Veniva dalla notte, perché nulla si sapeva delle sue origini, avvolte in una nebbia che era impossibile diradare. Ma la notte, fin dalle origini del mondo, non è che una parte del giorno: si tratta solo di conoscere il confine. Eurinome conosce bene il valore del confine. È figlia dell’Oceano, uno dei Titani generati da Urano e Gea, il dio fiume circolare, l’anello d’acqua che racchiude la Terra: è lui il termine che divide e unisce le due parti del mondo. Lui che accoglie ogni sera a ovest il carro del Sole e di notte lo trasporta a est per farlo ripartire all’alba; lui che ospita le anime dei morti sulle sue rive, dove i vivi tentano di incontrarle. Per questo, perché è sua figlia, Eurinome accoglie il bambino trovato da Teti: perché sa che ogni nascita è sfidare i confini. Qualunque fosse la sua storia, le due dee non ci pensarono neanche un momento, di abbandonarlo al suo destino. Lo allevarono come un figlio, segretamente, per nove anni, nella grotta sottomarina. Erano loro, il suo destino. —