il Fatto Quotidiano, 22 ottobre 2024
Macché Gjader, in Sicilia rimpatri facili e zero guai
Dimenticate il “modello Albania”. Per evitare costi, dispiaceri e nuovi decreti non serviva andare lontano. In Sicilia, infatti, il governo raccoglie ben altre soddisfazioni. Si tratta di forzare la mano e comprimere il diritto alla difesa, ma vuoi mettere? Egiziani e tunisini, per esempio, i cui Paesi hanno con l’Italia accordi di riammissione semplificati, spesso si ritrovano rimpatriati prima ancora di capire cosa sia successo.
I numeri non sono confrontabili con le migliaia di sbarchi registrati anche solo nell’ultimo mese, parliamo infatti di 40-50 persone a settimana. Ma a differenza dell’Albania la macchina non si è ancora fermata, aggirando in parte il ruolo dei tribunali e scongiurando l’interferenza Ue sui Paesi sicuri. Infatti la maggior parte delle persone vede solo giudici di pace, che convalidano singolarmente fino a 30 trattenimenti al giorno e con lo stesso avvocato d’ufficio. Alla faccia di chi ancora si ostina a invocare i diritti fondamentali o addirittura la Costituzione.
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I trattenimenti in Albania sono stati motivati con la provenienza da Paese considerato sicuro, presupposto poi sconfessato in base alla sentenza della Corte Ue. Ma a ben guardare una soluzione già esiste, un “modello Sicilia”. Quando sbarca, il migrante riceve il foglio notizie, un prestampato sul quale dichiara generalità e ragione dell’arrivo. Il modulo serve a separare i richiedenti dai cosiddetti migranti economici. Tutto alla presenza di interpreti e mediatori pagati dal Viminale ma, nonostante la legge e le direttive Ue, le informazioni non sono sempre adeguate. Gli stessi mediatori, assicurano alcuni avvocati al Fatto, riferiscono di moduli compilati in fretta, anche dal personale di polizia, senza che la persona abbia reale occasione di manifestare la sua volontà e di comprendere fino in fondo una scelta che deciderà il suo destino.
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Per chi non barra la casella “asilo”, il questore dispone un respingimento differito e il trattenimento in un Centro per i rimpatri (Cpr) motivato dall’assenza di documenti o da un generico rischio di fuga. Competente per le convalide dei trattenimenti nei Cpr è il giudice di pace. Chi non fa o non può fare richiesta di asilo davanti a lui potrà essere rimpatriato, anche l’indomani. Chi invece chiede asilo vedrà esaminata la sua domanda, ma a quel punto il percorso è segnato e grazie al decreto Cutro resta nel Cpr in attesa del respingimento. Come in Albania, alla sua domanda d’asilo si applica la procedura accelerata, ma l’origine da Paese “sicuro” non c’entra, i decreti in vigore bastano e avanzano e nessuno griderà alle “toghe rosse”.
Aver presentato la richiesta d’asilo dopo il provvedimento di respingimento vale a considerarla “strumentale”, volta solo a evitare il rimpatrio. È questo che motiva la procedura accelerata, la convalida del trattenimento, stavolta da parte del Tribunale, e il diniego della commissione prefettizia per “manifesta infondatezza”.
Il governo ha già ridotto a una settimana i termini del ricorso e complicato di molto la nomina di un avvocato di fiducia, che già deve raccogliere una procura speciale, autenticarla, trovare un interprete e interloquire con la persona. Il tutto mediato dal gestore del centro. Altro che diritto alla difesa: “Gli interpreti dei centri? Non sono a nostra disposizione. A volte ci si riduce al traduttore di Google”, confermano diversi avvocati. Una lotta ad armi impari, ma soprattutto una corsa contro il tempo. Anche quando il ricorso è immediato, infatti, i tempi del tribunale possono essere più lunghi di quelli necessari al respingimento. Che intanto va avanti e se la sospensiva del giudice non arriva in tempo il richiedente finisce su un charter e chi s’è visto, s’è visto. Nulla di che vantarsi in Europa, vista la sequela di forzature e le probabili violazioni. Ma funziona.