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 2024  ottobre 22 Martedì calendario

Vinicio Capossela e Marino Niola si confrontano sull’invenzione più arcana dell’uomo: i riti. A cui il musicista dedica il nuovo disco

Nel giorno di Natale del 2047, il Mago, il Gigante e il Cantante, alla soglia della fine del mondo, decidono ditornare al club “stazione” che li ha visti protagonisti di tanti show: il “Fuori Orario” di Taneto di Gattarico, alle porte di Reggio Emilia, un luogo fatato che per anni ha rappresentato per loro una sorta di focolare delle feste. Un capannone in disuso adagiato sulle rotaie abbandonate. «Fuori orario – racconta il Cantante, cioè Vinicio Capossela – significa uscire dall’orologio ed entrare nell’eternità. Qualcosa che trapassa il tempo e ci regala l’orario dei nostri sogni». Comincia così il “documentario travestito da film” diretto da Gianfranco Firriolo e presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, che accompagna l’uscita del nuovo album di Capossela, Sciusten Feste n.1965,quindici canzoni tra inediti, riscritture, rivisitazioni e reinterpretazioni di standard per le feste con la partecipazione di alcuni ospiti speciali come Marc Ribot e Vincenzo Vasi. Un disco che ha una storia lunga 25 anni, da quel Natale del 1999 nel quale per la prima volta Vinicio e la sua band decisero di “santificare la festa” con un concerto colorato e strabordante che si è ripetuto ognianno – a parte quelli del Covid – e che tornerà puntuale il 25 e il 26 dicembre prossimi durante un tour italiano ed europeo che conta più di una ventina di date. «La festa è la più arcana invenzione dell’uomo per esorcizzare la morte» spiega Capossela, e ad ascoltarlo e a dialogare con lui c’è l’antropologo Marino Niola con il quale il cantante irpino si ripromette di conversare a lungo durante una delle prossime edizioni dello Sponz Fest, la rassegna che organizza nelle sue terre da una decina di anni.
Festa e morte. Un connubio quasi inscindibile. E forse non è nemmeno un caso che le feste invernali, quelle che culminano con Natale e l’Epifania, comincino proprio il 2 novembre…
Vinicio Capossela : «Ora che cipenso, festa e morte sono parole entrambe di cinque lettere con una vocale in comune. Come se, in un vinile, l’una fosse il lato B dell’altra.
È strano, ma hanno molto in comune: non a caso lo Sponz è una festa, non un festival. È come se in qualche modo volessimo sospendere il tempo nella speranza che quando riprenda, dopo la festa, sia un po’ diverso da come è adesso. Forse anche per questo abbiamo bisogno di festeggiare anche quando non ci sarebbe proprio nulla da festeggiare».
Marino Niola : «Io partirei dall’etimologia della parola festa, che deriva da “estia”, la dea del focolare, cioè il luogo dell’ospitalità e dell’accoglienza. È curioso che uno spazio fisico sia diventato un appuntamento nel calendario del tempo. Perché che altro è la festa senon una macchina del tempo che ci mette davanti a una contraddizione? Da una parte il ritorno circolare della ricorrenza che torna ogni anno nello stesso giorno, dall’altra il tempo che se ne va e non ritorna più. La grande illusione sta proprio nelle due immagini che si sovrappongono: ecco perché, come dice Capossela nelle sue canzoni, la festa è euforia ma soprattutto malinconia. Non a caso Leopardi scrive La sera del dì di festa,che è una delle più vertiginose liriche della poesia italiana e forse della poesia di tutti i tempi».
Dicembre, poi, è un mese sacro. Quello in cui si celebra il rito dello stare insieme, la stagione in cui si sospende il tempo dell’utile.
VC :«Ma chi l’ha detto che l’inutile non sia importante? Prendi
Sciusten Feste n.1965, il titolo del mio disco. Lo scrisse a penna tanti anni fa mio padre Vito per ricordare la grande festa di Hannover che in realtà si chiamaSchützewnfest, un chiassoso raduno nel quale si tira al bersaglio, si elegge un campione e si beve l’inimmaginabile. In tedesco, nel sostantivo schutzen c’è anche la radice del proteggere. Cioè difendere ciò che si ha di più caro, la nostra innocenza in un mondo che la nega. Proteggere la festa è un po’ come salvare il gioco e l’infanzia del mondo. Ti pare inutile?».
MN :«Vuoi sapere perché c’è sempre qualcuno che punta a rovinare la festa? Il Grinch che c’è in ognuno di noi? Ci sono ragioni storiche, basti pensare che il primo guastafeste è stato, tre secoli fa,l’Illuminismo. Ha inaugurato la civiltà dell’utile, quella nella quale viviamo anche noi, secondo cui qualsiasi cosa non produca diventa in automatico tempo sprecato. Una perdita di tempo e quindi di denaro, concetto capitalistico che oggi va tanto per la maggiore. La festa, insomma, sarà anche amica della gioia ma non certo del Pil, e quindi meglio scansarla come la peste».
Però non è mica tanto vero: Natale è ormai il simbolo del consumismo più sfrenato. C’è una canzone nel nuovo disco in cui il povero Babbo Natale finisce per suicidarsi perché non riesce più a stare dietro ai desideri della gente. Quasi come un corriere di Amazon…
VC:«È un po’ il segno dei tempi. Ma confesso che un po’ mi ha ispirato una celebre battuta del grande pugile Jake LaMotta. Una volta raccontò che la sua famiglia era così povera che a Natale suo padre usciva in cortile e sparava due colpi di pistola. Poi rientrava a casa e diceva ai figli che anche quell’anno non ci sarebbero stati regali perché Santa Claus si era suicidato…».
MN: «Questa canzone l’ho trovata geniale. È la fotografia di quello che è diventato il Natale, la festa religiosa che fa più utili, e infatti è l’unica che persino le élite capitalistiche riescono a tollerare.
Non dimentichiamo che nell’antichità quel periodo dell’anno era definito “La festa delle dodici notti”, la cerniera magica che separava l’anno vecchio dal nuovo, dal 24 dicembre che rappresentava la vittoria del sole sulle tenebre con le giornate che cominciano ad allungarsi, alla magia del 6 gennaio con l’Epifania.
Un’operazione geniale del Cristianesimo che prende le feste pagane del solstizio d’inverno e vi sovrappone la figura di Cristo, un Dio solare. Ho sempre pensato che il Cristianesimo avesse il migliore ufficio marketing della storia».
Ma, alla fine, il fatto che ogni anno le feste ritornino, è una fortuna o una sventura? Magariserve a dimenticare che non c’è davvero niente da festeggiare…
VC:«Per me è un’occasione, nel senso che è una cosa che comunque non scegliamo noi. E permette spesso di capire molto delle persone che ti circondano: per esempio come vivono il tempo dell’inutile che non è necessariamente quello delle feste comandate ma anche semplicemente il tempo che ognuno di noi si ritaglia per sé. Il mio tour si chiama “Conciàti per le feste”, perché effettivamente non siamo affatto conciati bene. Ma basta spostare l’accento e diventa “Cònciati per le feste”, che è un invito a vivere attivamente e a godere della compagnia degli altri.
E della musica, ovviamente».
E visto che non manca poi così tanto a Natale, che cosa vi augurate quest’anno?
MN: «È davvero difficile fare gli auguri in un momento come questo. Mi viene in mente Theodor W. Adorno quando disse che “qualsiasi poesia, dopo Auschwitz, sarebbe stata un atto di barbarie”.
Edmond Jabès, il grande poeta francese, gli rispose che proprio perché c’era stata Auschwitz la poesia è ancora più necessaria. E quindi io dico che anche e soprattutto in un periodo come questo la festa è fondamentale: una mia vecchia zia scriveva ogni anno, durante il periodo natalizio, sempre lo stesso bigliettino: “Ti auguro quello che il tuo cuore desidera”. Penso sia il miglior augurio da poter fare».
VC:«Guarda, quando ero giovane facevo canzoni autobiografiche, le dedicavo alla mia ragazza del tempo che puntualmente mi lasciava. Nel 2019 ho scritto un pezzo che si intitolava La peste ed è arrivato il Covid. Poi ho fatto le
Tredici canzoni urgenti in cui parlavo dei guai del mondo che, nel frattempo, è peggiorato non poco.
Vuoi vedere che faccio un disco con le canzoni della festa e magari cambia tutto? Chi lo sa, magari riesco a dare un piccolo contributo…».
f Bisogna difendere la nostra innocenza in un pianeta che la nega Proteggere le solennità è un po’ come salvare il gioco e l’infanzia del mondo
VINICIO CAPOSSELA
Da una parte c’è il ripetersi circolare della ricorrenza che cade ogni anno nello stesso giorno, dall’altra il tempo che se ne va e non ritorna più