La Repubblica, 22 ottobre 2024
Mitragliatore e pennello. Tra i militari libanesi costretti al doppio lavoro per arrivare a fine mese
Tra un paio d’ore il sergente Fadi si sfilerà la mimetica e indosserà una tuta bianca perché ha un solaio da verniciare. E la mano, abituata a tirare un grilletto, impugnerà un pennello. «Tutti i soldati qui hanno il doppio lavoro, altrimenti non si campa. A volte anche tre lavori», dice il sergente, che quando parla tiene il palmo davanti alla bocca, e noi presumiamo che sia per non farsi sentire dagli altri. «Per otto mesi ho fatto contemporaneamente il soldato, l’imbianchino e il rider. Dalle 7.30 alle 14.30 ero al mio posto nell’amministrazione militare, dalle 16.30 alle 22 andavo in giro in motorino per Beirut a consegnare pizze e falafel, nel weekend tinteggiavo».
Di cosa si parla quando si parla dell’esercito libanese. Una forza armata di circa 70 mila effettivi, privata di aviazione e contraerea, che non ha i soldi per pagare stipendi decenti ma a cui il mondo chiede gli straordinari: smilitarizzare la terra tra il fiume Litani e il confine israeliano col sostegno della missione Unifil, che significa togliere i missili a Hezbollah, cioè la milizia meglio addestrata del Medio Oriente, e convincere a non violare la risoluzione1701 l’Idf, cioè l’esercito più equipaggiato, tecnologico e letale. La risoluzione Onu che tutti citano e nessuno rispetta risale al 2006 dopo l’ HarbTammuz, il secondo conflitto israelo-libanese.
«Siamo pronti a fare il nostro dovere, però non abbiamo abbastanza militari per coprire il sud». Dovrebbero essere 12 mila, non sono mai stati più di 3.500. «Ci sono 20 mila richieste di arruolamento bloccate perché il governo non ha risorse per coprire le spese». Sul telefono del sergente Fadi arrivano due messaggi. Il primo è il luogo dove si tiene ilfunerale di due dei tre commilitoni uccisi domenica dall’Idf nei pressi della Linea Blu. Il secondo è il cliente che lo avverte di aver scelto un tono più chiaro di grigio per il solaio.
Sui tornanti di una strada a strapiombo e senza guardrail che sale al villaggio sunnita di Fnaidek, nel distretto nord di Akkar, a pochi chilometri dalla Siria, il pensiero va a questa strana circostanza per cui qualsiasi piano internazionale per il cessate il fuoco, qualsiasi ipotesi di riappacificazione di un confine mai pacificato, si poggerà sul senso di responsabilità e sulle capacità operative di una truppa a cui è stato tolto tutto. Persino le divise in tessuto italiano e americano che aveva in dotazione prima della crisi economica del 2019. «Adesso la fornitura è cinese», racconta il quasi quarantenne Fadi, che è di un paesino vicino a Nabatiye, nel sud, ma i suoi otto anni sul campo fino al 2017 li ha fatti a nord a sedare le sparatorie tra alawiti e sunniti. «La mimetica è di una stoffa che non traspira, me ne sono comprata una buona da solo. Gli stivali fanno venire il mal di schiena».
A Fnaidek gli abitanti si sono arrampicati al cimitero sulla collinaper l’ultimo saluto ai loro concittadini Tarek Sobha e Ahmad Haidar, i sottoufficiali uccisi sulla strada di Ain Ebel-Hanine da un raid israeliano. «Chiediamo scusa, è stato un errore, pensavamo che quel veicolo fosse di Hezbollah», ha comunicato l’Idf. Sono già undici i soldati libanesi morti dall’inizio dell’invasione del sud: deceduti per una guerra che non combattono. Al momento della sepoltura, a Fnaidek si sparano in cielo salve di proiettili con fucili d’assalto e razzi rpg: usanza sunnita, gli sciiti non lo fanno. Non è aria per fotografie e domande, troppa la tensione. I giornalisti vengono cacciati.
L’esercito libanese è l’unica istituzione rispettata da tutte le 19 confessioni religiose che convivono nel Paese dei Cedri, motivo per cui è chiamato anche a mantenere l’ordine pubblico, che di norma è compito esclusivo della polizia. «La crisi ha inciso parecchio e lo Stato maggiore ha dovuto chiudere un occhio sui soldati col doppio lavoro», spiega aRepubblica il generale in pensione Mounir Shehadeh, fino all’ottobre 2023 ufficiale di collegamento con Unifil. «Gli aiuti finanziari ricevuti da Qatar e Stati Uniti non eranosufficienti, sulle spalle dei nostri pesano gli stipendi bassi e il fatto che debbano provvedere da soli agli spostamenti per servizio».
Giorgia Meloni e gli altri capi di governo insistono che va rafforzato l’esercito libanese per far funzionare la 1701. Un punto da cui iniziare è il salario. Gli ufficiali prendono di media 500 dollari al mese e hanno un buono per 400 litri di benzina, i sottoufficiali e i gradi minori non più di 250 dollari se sono sposati, 210 se non lo sono. Cifre incompatibili con qualsiasi economia domestica: solo per la quota del generatore di quartiere (lo Stato fornisce elettricità per 2-3 ore al giorno) ogni famiglia sborsa 200 dollari al mese, un affitto medio fuori Beirut non scende sotto i 100 dollari. «Capisce perché sto andando a imbiancare un appartamento?». Il sergente Fadi continua a tenere il palmo della mano sulla bocca nonostante non ci sia più nessuno nelle vicinanze. «Non lo faccio per coprire la voce… Ho un dente da devitalizzare, mi fa un male dannato. Le forze armate non offrono più il servizio sanitario e il dentista mi costa 250 dollari». Quel dente malato gli porterà via uno stipendio intero.