La Stampa, 21 ottobre 2024
Solo i palestinesi possono segnare la fine di Hamas
Gli sviluppi degli ultimi giorni, tra cui l’attacco di Hezbollah contro l’abitazione del Primo Ministro Netanyahu, rendono ancora più complesso e pericoloso lo scenario mediorientale. Cosa dobbiamo aspettarci? Netanyahu aveva enunciato tre obiettivi dopo il 7 ottobre 2023: distruggere Hamas; liberare gli ostaggi; garantire la futura sicurezza di Israele. Oggi Hamas, decapitata, è forse definitivamente indebolita, anche se non completamente distrutta. Il problema degli ostaggi è ancora irrisolto e legato anche alla possibilità di un cessate il fuoco nella Striscia, che tuttavia il governo israeliano non sembra disposto a concedere, malgrado le pressioni internazionali e soprattutto americane. La sicurezza futura di Israele, infine, non è garantita. Certamente, l’Asse della Resistenza creato da Teheran come bastione anti-israeliano di «deterrenza asimmetrica», è seriamente indebolito, con Hamas gravemente degradata ed Hezbollah acefala ma ancora attiva. Tuttavia il confronto, anche militare, con I’Iran è sempre più incandescente e imprevedibile. Netanyahu, dopo l’attacco di Hezbollah alla sua abitazione, ha mandato un chiaro messaggio all’Iran: lo considera responsabile anche per le azioni di Hezbollah, malgrado il regime iraniano abbia subito negato il proprio coinvolgimento, temendo le ritorsioni di Israele.
Il segnale è però chiaro e implica che Israele potrebbe allentare le proprie linee rosse sulla possibilità di colpire Khamenei. Netanyahu aveva anche due obiettivi non dichiarati, o che si sono precisati meglio con il tempo. I| primo, evitare la creazione di uno Stato palestinese e, in prospettiva, recuperare Gaza ai coloni ebrei, per convinzione o per necessità dettata dai condizionamenti dei suoi alleati dell’ultradestra. La seconda, mettere in sicurezza, anche militarmente, i confini di Israele indebolendo l’Asse della Resistenza e preparandosi a un confronto con l’Iran, nemico “esistenziale”. Oggi è chiaro che il controllo di Gaza proseguirà a lungo.
Ciò implica però un rinvio sine die della eventuale creazione di uno Stato palestinese. Netanyahu sfrutta così una eclissi politica americana nell’area, lasciandosi libertà di azione fino alle elezioni presidenziali di novembre, ma continuando a beneficiare del sostegno militare di Washington. Cosa invece vorremmo attenderci? Innanzitutto l’accettazione israeliana, anche in prospettiva, del principio dei due Stati. Ciò faciliterebbe una intesa regionale basata sul rapporto tra Israele e Arabia Saudita, in chiave di contenimento dell’Iran. Ciò costituirebbe inoltre la premessa per l’invio di forze multinazionali dei Paesi del Golfo –in coordinamento con Israele che comunque non rinuncerebbe al controllo degli accessi a Gaza– per mobilitare fondi per la ricostruzione della Striscia. Occorre ricordare che l’Arabia Saudita e i Paesi del Golfo hanno necessità di stabilità regionale per realizzare i propri ambiziosi programmi di sviluppo, a cominciare da Vision 2030, concepita da Mohammed Bin Salman. Il recente incontro a Riyad tra il principe ereditario saudita e il ministro degli esteri iraniano è il segnale che, se la stabilità dell’area non può essere garantita da un accordo regionale, occorre comunque trovare qualche forma di intesa o un modus vivendi con Teheran. È già successo nel marzo 2023 quando fu la Cina a mediare un riavvicinamento tra Iran e Arabia Saudita, in un momento in cui i sauditi nutrivano dubbi sull’impegno americano nella regione. Questi sviluppi favorirebbero il ruolo di una rinnovata Autorità Nazionale Palestinese anche come adeguata profilassi contro Hamas. Solo gli stessi palestinesi possono segnare la sconfitta definitiva di Hamas.
Al riguardo, è passato completamente inosservato, un paio di settimane fa, un incontro al Cairo tra ANP e Hamas in cui quest’ultima avrebbe accettato la costituzione a Gaza di un organo tecnico legato alla ANP. È il segno che sul fronte intra-palestinese qualcosa si sta muovendo. Vorremmo anche assistere al rafforzamento delle Istituzioni libanesi e soprattutto delle Forze Armate libanesi, vero collante –benché debole– del Paese. Il rafforzamento dello Stato libanese sarebbe anche nell’interesse di Israele. Il Paese dei Cedri è oggi ostaggio di Hezbollah e delle milizie sciite. Un Libano più forte potrebbe limitare l’influenza di Hezbollah e dell’Iran. Giovanni Falcone sosteneva che la mafia prolifera dove le Istituzioni sono deboli e non riescono a erogare i servizi elementari che uno Stato dovrebbe garantire. È più o meno ciò che è accaduto in Libano, dove Hezbollah ha progressivamente preso il sopravvento su uno Stato fragile e frammentato. Se andasse in questa auspicabile direzione il governo israeliano mostrerebbe coraggio e visione. La sicurezza solida di domani si può costruire con la lungimiranza nel presente. —