Il Messaggero, 21 ottobre 2024
La storia di Luciano l’uomo di 63 anni che dopo un incidente era coonvinto di averne 24
ROMA Luciano ricorda bene cosa ha fatto il 20 marzo del 1980. «Avevo 24 anni, avevo lavorato a Fiumicino, all’epoca ero un dipendente dell’aeroporto, personale di terra. Quando ho staccato sono tornato a Roma, abitavo a Monte Mario. Sono rientrato a casa, poi sono uscito di nuovo...». Qui comincia l’incredibile avventura raccontata da Luciano D’Adamo, che rammenta di aver attraversato la strada sotto casa e di essere stato investito da una macchina.
Il giorno dopo ha ripreso conoscenza in ospedale. Un infermiere gli ha chiesto il numero di telefonino di un parente da informare: lui gli ha dettato il numero di casa della madre, senza capire perché l’apparecchio da chiamare dovesse essere per forza un telefono piccolo. Qualche ora dopo gli hanno annunciato l’arrivo di una signora, lui pensava che fosse la mamma e invece nella stanza è entrata una sconosciuta. «Mi chiamava: “Luciano”. E io mi chiedevo come faceva a sapere il mio nome». Più tardi si è presentato un tizio sui 35 anni, che guardandolo negli occhi gli ha detto di essere suo figlio, mentre la signora di prima era sua moglie. «Ma come poteva essere mio figlio un uomo nato molto prima di me? E poi quale moglie? Io non ero sposato, ma fidanzato, e non certo con quella donna che doveva averne quasi sessanta, ma con una ragazza di 19 anni, anzi il matrimonio era già organizzato, ci saremmo sposati quattro mesi dopo...». Ma quando è riuscito ad alzarsi dal letto per andare in bagno, e nello specchio gli è comparso un signore con i capelli ingrigiti e il volto segnato dall’età, Luciano si è messo a urlare. Sono arrivati di corsa gli infermieri, ma lui non riusciva più a parlare. Il ragazzo di 24 anni era diventato un uomo di 63, e aveva capito che era tutto vero.
Così gli hanno spiegato che l’incidente non era avvenuto a Monte Mario bensì a via delle Fornaci, e non nel 1980 ma nel 2019. Un trauma alla testa gli aveva fatto perdere la memoria degli ultimi 39 anni di vita. La ragazza diciannovenne l’aveva sposata davvero, era la sua attuale moglie, quella che lui non riconosceva più. Così Luciano, che non sapeva cosa fossero i telefonini, non sapeva di aver vinto due scudetti da romanista e due mondiali da italiano, non sapeva di Totti e di Berlusconi, di Tangentopoli e dell’11 settembre, si è ritrovato di colpo in un universo di fantascienza. «Ricordo ancora lo stupore di viaggiare su un’auto che su uno schermo mi mostrava la mappa di Roma, anzi il Tuttocittà come lo chiamavamo una volta, mentre una voce diceva: “Fra 100 metri svolta a destra"». La madre che lui voleva avvisare dall’ospedale nel frattempo era morta, e tutti gli affetti che lo circondavano erano come persone estranee. Assistito dai medici, ha cercato di ritrovare qualche scintilla di memoria, parenti e amici hanno tirato fuori dai cassetti tutte le foto dei momenti passati insieme, sperando di ravvivare un ricordo, di riattivare un qualsiasi circuito nel cervello, ma niente. Dal fondo della sua mente è riemersa solo qualche lampo, anzi uno solo: «Negli occhi mi è ricomparsa un’immagine, il disegno di una cicogna, e poi c’è scritto il nome Matteo, una data, un orario, e ancora “PN 2300"». Il figlio e la nuora l’hanno riconosciuto subito: era il cartellino sulla culla con l’ora di nascita e il peso del primo nipotino, nato nel 2014.
Luciano ormai ha capito che quasi tutta la sua vita da uomo adulto è andata persa e non la riavrà mai più. Ha accettato, a malincuore, di non essere più un ragazzo, di non poter più salire le scale di corsa come faceva prima. Non si è arreso: con intelligenza e tanta buona volontà, ha imparato un po’ alla volta a vivere e a lavorare in un mondo tutto nuovo, tutto da decifrare. Adesso si occupa della manutenzione in una scuola, passa le giornate in mezzo ai bambini, chiacchiera con i genitori, sorride. Con l’aiuto degli psicologi, lui e la moglie stanno ricostruendo un rapporto che è dovuto ripartire da zero.
Non ha mai avuto un risarcimento perché il pirata della strada che lo ha investito non è mai stato trovato. Ha sperato di ottenere un contributo dal Fondo di garanzia per le vittime di incidenti stradali, ma gli hanno detto che è impossibile: non ci sono testimoni che possano dichiarare di aver assistito all’investimento.
GLI INCONTRI E GLI SCHERZI
«Ogni tanto – racconta – incontro qualcuno che mi saluta. Sarà sicuramente un vecchio amico ma io non so chi sia, comunque per gentilezza faccio finta di riconoscerlo e ricambio il saluto». In famiglia tutti gli sono sempre stati vicini, lo aiutano. Per sdrammatizzare a volte gli fanno qualche scherzo, come quando appena uscito dall’ospedale il figlio giocando gli ha detto «Papà ti ricordi che mi dovevi ridare 5 mila euro?» (lui disorientato ha risposto: «Che vuol dire “euro”?»). Quei trentanove anni spariti dalla sua memoria per lui non sono mai avvenuti: «A volte dico che mi piacerebbe volare su un aereo, non l’ho mai fatto. Mia moglie mi fa: “Ma che dici? Siamo stati insieme a Parigi”. E io le rispondo: “Tu ci sei stata, io no"».
La sua storia fa venire in mente tanti romanzi e tanti film, Luciano ha visto “Quando”, il film di Walter Veltroni, quello con Neri Marcorè che perde la memoria, e ci si è ritrovato: «Anzi ho avuto il sospetto che avessero parlato con i medici che mi hanno curato, certi dettagli erano proprio uguali».
Oggi anche lui, come tutti, ha in tasca un telefonino. L’immagine che ha scelto come salvaschermo è una foto che ha trovato nel suo portafogli quando si è svegliato dopo l’incidente. È la foto di quella ragazza di 19 anni che nel marzo del 1980 stava per sposare e che non esiste più, sebbene sia ancora oggi sua moglie. Mentre ce la mostra, dagli occhi gli scende una lacrima.